Comunione, partecipazione e missione sono le tre parole indicate da Papa Francesco per essere una Chiesa veramente sinodale. Possiamo aggiungere, per essere una Congregazione sinodale.
Il 16 giugno 2019 il Superiore generale, don Valdir José De Castro, annunciando l’inizio del cammino verso l’XI Capitolo generale scriveva: «In sintonia con la Chiesa e con l’obiettivo di cercare di rispondere alle esigenze della nostra vita e missione nel mondo attuale, abbiamo scelto la “sinodalità” come metodologia per il cammino di preparazione e celebrazione del prossimo Capitolo generale».
Un sinodo – synhodos in greco – è un percorso comune. Significa seguire lo stesso itinerario e insieme svolgere compiti e risolvere problemi. La sinodalità non è una novità nella Chiesa. Una delle prime persone nella Chiesa che hanno saputo valorizzarla con successo, fu proprio il nostro Patrono: l’Apostolo Paolo. Lui infatti non ha voluto vivere l’apostolato da solitario. Nella sua attività non procedeva mai da solo. La sua idea di Chiesa era quella che nasceva dalla condivisione con gli altri cristiani. L’Apostolo delle genti è un grande esempio di lavoro in équipe e in rete. Nonostante le difficoltà, Paolo cerca di lavorare con diversi collaboratori, uomini e donne, mostrando con la sua prassi pastorale che la comunità cristiana si costruisce e si sviluppa come comunità di relazioni. Barnaba, Sila, Timoteo, Tito, Apollo, Aquila e Priscilla sono soltanto alcuni dei suoi collaboratori. San Paolo si appoggia a persone fidate, a coloro che sono disponibili, veri collaboratori che dedicano tanto del loro tempo per “le cose di Paolo”, ovvero per “le cose del Vangelo”. Comunione, partecipazione e missione – parole recentemente usate da Papa Francesco per denominare la sinodalità di cui la Chiesa ha proprio bisogno – erano “di casa” per Paolo e per i suoi collaboratori, mettendo così le fondamenta della Chiesa nella quale viviamo.
Proprio grazie anche a san Paolo e alla sinodalità con i suoi collaboratori, la storia ha visto l’espansione della Chiesa da Gerusalemme a Roma. Si tratta di un cammino complesso, segnato da variegate vicende e che a buon diritto può essere definito sinodale. Un itinerario vissuto insieme – nonostante molte tensioni – per poter affrontare al meglio situazioni nuove, talvolta persino imbarazzanti, per superare problemi apparsi all’improvviso e per rispondere ad esigenze tanto inedite quanto inevitabili.
La molla che muove Paolo e i suoi collaboratori non è prima di tutto il desiderio di uno sviluppo progressivo e geometrico della propria forza missionaria, ma l’obbedienza alla voce dello Spirito che chiama molti altri a quella salvezza di cui già godono i discepoli. Per questo Gesù risorto parla a Paolo del popolo di Dio «numeroso» che già esiste in Corinto, ancor prima che l’Apostolo cominci a predicare.
La Chiesa è guidata, nel concreto delle vicende umane, dai suggerimenti dei profeti e di tanti altri uomini che intraprendono ed inventano sempre strade nuove per obbedire al comando missionario. E questo è vero anche per le situazioni negative. Non raramente i vari “stop” dell’evangelizzazione per cui la Chiesa non può procedere, sono strumenti che lo Spirito Santo sfrutta per avviare nuovi percorsi. Emblematico, a questo proposito, è la partenza della missione di san Paolo per l’Europa. Essa prende la direzione giusta proprio dai divieti – ossia dall’impossibilità – di sviluppare l’annuncio in Asia, là dove sembrava opportuno e necessario recarsi.
Le vicende missionarie di Paolo e dei suoi collaboratori ci esortano a credere nella forza della Parola di Dio e a muoverci con fiducia nello Spirito. Non dobbiamo avere paura di commettere errori e di affrontare i “dimagrimenti” che, dolorosi, si presentano davanti ai nostri occhi. Il tralcio veramente unito alla vite è potato perché porti più frutto. Il tralcio è potato perché deve orientare le sue energie da un’altra parte. È lì, nel luogo scelto dal Potatore, che il tralcio potrà dare il grappolo più ricco e gustoso. E questo è il vero scopo e il più bel frutto d’ogni cammino sinodale.
don Tomasz Lubas