Regina non è un titolo onorifico, con cui Dio ha voluto rallegrare Maria e con cui noi possiamo chiamarla lietamente. È invece il nome che indica una condizione di vita, peraltro eterna, in cui la Vergine Madre è stata posta dal Dio trinitario. Diversamente dalla regalità umana, quella di Maria non può neppure essere rinchiusa dentro lo spazio, pur bello e ampio delle devozioni a lei dedicate; essa trova il suo luogo di nascita e la sua forte fondazione nella rivelazione della Scrittura.
La regalità di Maria è una reale condivisione della signoria-regalità di Dio. In modo più appropriato, essa è la condivisione della regalità di Cristo che, perciò, la caratterizza in maniera essenziale. Tutto questo si inscrive dentro un disegno salvifico a più arcate, la più ampia delle quali va dal manifestarsi regale di Dio nel primo Patto — («Il Signore regna!» [Es 15-189]) — al suo compimento in Gesù Cristo (cfr. Ap 12, 10). Dentro questa amplissima arcatura rivelativa, si incontra Maria felicemente implicata nella regalità del Figlio, «Sole di giustizia», al quale dà la veste della sua umanità e intronizza il neonato Re-Messia (Incarnazione) e come Virgo-regia apre la via alla sconfitta del Nemico della famiglia umana nell’evento di Pasqua.
Quale Madre messianica, Maria sta sotto la Croce assistendo alla morte del Re-Messia (Rex Iudeorum) e condividendola regalmente. L’evento pasquale vede Gesù di Nazaret vivere i due momenti opposti di morte-risurrezione, di Uomo che viene ucciso come servo (i romani riserbavano la Croce agli schiavi) e che risorge come Re glorioso ad opera del Padre. Interpretando con occhio credente la presenza di Maria dentro il complesso evento pasquale di Gesù, possiamo vedere che anche la sua vicenda si distende lungo la “costante” biblica dell’umiliazione/glorificazione (cfr. S. De Fiores e N. Zamberlan, Voce Regina, in Mariologia, a cura di S. De Fiores, V. Ferari Schiefer, S.M. Perrella, San Paolo, Cinisello Balsamo – Milano, 2009, p. 2610).
Maria Regina e la Trinità
La «regalità» di Maria va compresa in riferimento all’unità di Dio, ma va anche vista nell’appropriazione o specificazione delle tre divine Persone. Questo legame, evidentemente, rende possibile e dà significato alla regalità di Maria.
— “Maria Regina e il Padre”. Nella Scrittura primo-testamentaria l’attribuzione della regalità a Dio deve intendersi come regalità rivolta al Padre, che ha creato e governa il cielo e la terra. Così si esprimono soprattutto i Salmi: Dio è «Re grande su tutta la terra» (43, 3; 84, 4; 95, 3; 98, 6; 145, 2). Anche i Profeti attestano la sua monarchia su Israele, in particolare: «Re d’Israele è il Signore in mezzo a te» (Sof 3, 15; cfr. Is 6, 5; Ger 8, 19; Zc 14, 9.17; Mal 1, 14). Anche Gesù nelle parabole del Regno rappresenta il Padre come un Re (cfr. Mt 18, 23ss). Ogni altra attribuzione regale va intesa come scaturente da quella del Padre: anche quella di Maria proviene dal Padre che la rende Regina perché creatura al massimo degna di sé, perché Madre del suo Figlio incarnato e perché sua compagna nell’opera redentrice e salvifica.
— “Maria Regina e il Figlio”. Il titolo di Re è anche per Gesù: il Messia atteso dagli ebrei sarà discendente del re Davide (cfr. 2 Sam 7); sarà un re «umile e mansueto» (Zc 9, 9-10); è chiamato «Principe della pace» (Is 9, 6) e, come rivelerà l’angelo a Maria nell’Annunciazione, «regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe» (Lc 1, 32). Lei, dunque, è la Madre del Messia Re. Così, nel suo ingresso a Gerusalemme Gesù si presenterà come Re dimesso (cfr. Gv 12, 15). La regalità, infine, è la sua causa mortis, anche se egli nel processo davanti a Pilato precisò che egli era re, ma non di questo mondo: Egli è, infatti, «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16). Ora Maria lega la sua persona di Madre a tutta la vicenda martiriale e gloriosa di Gesù, il Messia Re.
— “Maria Regina e lo Spirito”. Anche l’opera dello Spirito, infine, si riferisce alla regalità: il profeta Isaia, infatti, vede nello Spirito l’artefice della regalità del Messia (cfr. Is 11, 1-2) e nell’Annunciazione l’Angelo rivela a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1, 35). A quel Figlio che nascerà dall’opera dello Spirito in Maria «il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 32-33). Ma, soprattutto, è la globale plasmazione, anche d’indole regale, che lo Spirito opera sulla persona di Maria.
Maria Regina perché…
Rivelazione biblica, senso di fede del popolo di Dio, docenza magisteriale dei pastori, pensiero credente dei teologi concordano nel dire che la regalità di Maria è motivata dal fatto che la “logica dei misteri” fonda sempre motivazioni di fede: ebbene, la libera signoria del Dio trinitario che decide in ordine alla salvezza in piena autonomia, la sorprendente rivelazione biblica nel far conoscere gli arcani disegni divini, le ragioni teologiche che poggiano sulla fede della Chiesa portano a dire che la regalità di Maria è verità che dispone di un’ampia motivazione. Ci attestiamo a considerarne almeno tre, fra le maggiori.
— “Maria è Regina perché Madre”. La maternità divina di Maria, come insegna Pio XII, è «l’argomento principale, su cui si fonda la dignità regale di Maria, già evidente nei testi della tradizione antica e nella sacra liturgia» (Enc. Ad coeli Reginam [11.10.1954], III). Condotta in Cielo, Maria ha vissuto per sé, e nei modi adatti a lei, ciò che è stato per Gesù suo Figlio quanto, con l’Ascensione, egli ha sperimentato con l’«ingresso nella sua gloria» (At 1, 9: Fil 2, 9; 1 Tm 3, 16).
Entrata anche lei nella Casa del Padre, è stata resa (non dichiarata) Regina dal Figlio glorificato che le ha cinto il capo con una corona di dodici stelle, le tremule e vive luci della Chiesa: così, in lei, quale Madre messianica, ha vibrato la gloria del Messia e del popolo messianico. Così lei è divenuta la Regina-Madre in riferimento a Cristo e, di conseguenza, meritando i titoli di “Madre della Chiesa”, di “Madre dei discepoli”, di “Madre del genere umano”. La Gloriosa, insomma, con la sua maternità regale è rivolta verso tutti e ognuno, essendo l’unica Eva (come ci insegna a dire sant’Efrem siro), ossia quale vera «madre di tutti i viventi» (Gn 3, 20), poiché la prima Eva non lo è mai stata non avendo ascoltato la parola di Dio che, pertanto, non ha potuto fermentare in lei e renderla feconda.
— “Maria è Regina perché discepola”. Essere Discepola di Cristo su questa terra è stato per Maria un avvio alla regalità celeste. Non un solo aspetto della sua discepolarità, ma l’intera sua condizione discepolare profetizza la sua glorificazione regale. Di fatto, l’essere discepolare è la forma completa della sua esistenza di Figlia di Sion, di resto santo d’Israele, di Vergine che si avvia col suo Sì alla vita di Madre messianica, della sua maternità dolorosa e, infine, della sua maternità gloriosa.
La condizione discepolare di Maria è intessuta dei santi fili, lievi e forti, che realizzano la splendida tela della sua vita. «Dando il suo assenso al disegno divino, progredendo nel suo cammino di fede, ascoltando e custodendo la Parola di Dio, rimanendo fedelmente unita al Figlio sino alla Croce, perseverando con la Chiesa nella preghiera, intensificando il suo amore verso Dio, meritò in modo eminente la “corona di giustizia” (cfr. 2 Tm 4, 8), la “corona della vita” (cfr. Gc 1, 12; Ap 2, 10), la “Corona della gloria” (cfr. 1 Pt 5, 4) promessa ai fedeli discepoli di Cristo» (Conferenza episcopale italiana, Rito dell’incoronazione della Beata Vergine Maria, Città del Vaticano 1982, 5).
— “Maria è Regina perché serva”. Pensare la regalità di Maria come un allontanamento dalla sua vita umile, dalla sua condizione di serva del Signore, per immaginare una contraddizione tra la vita di sorella, di discepola e di servizio, rispetto all’esistenza gloriosa, regale di Maria in Cielo, è un pensar male di lei dal punto di vista teologico, in contraddizione inaccettabile con l’idea di gloria e di regalità che la Scrittura insegna e la Chiesa interpreta. In terra, Maria «vive umilmente nel mondo dei poveri… Ella è la più umile serva al tempo stesso che la più alta regina: la più umile serva perché è la più alta regina» (R. Laurentin, La Vergine Maria. Mariologia post-conciliare, Paoline, Roma 19703, pp. 225-226). In Maria, sua serva fedele, Dio manifesta le preferenze che ha per il piccolo, il povero, l’ultimo, l’abbandonato in questo mondo per fare brillare la sua gloria con cui investe la persona della Madre di Gesù.
Inoltre, glorificazione di Maria si pone in fedele continuità con quanto Dio ha vissuto con Israele: come per gli Israeliti la glorificazione consiste nella loro vocazione a servire Dio, così il regno della Vergine Madre è regno di servizio anche in Cielo lodando Dio e intercedendo per gli uomini. Maria, dunque, è Regina perché serva: diventa Madre del Re messianico perché si dichiara ed è stata «la serva del Signore» (Lc 1, 38, 48). Come si vede, meditando sulla regalità di Maria, siamo entrati sotto l’arco di uno splendido chiasmo: Maria è Regina perché serva (la regalità è un premio); ma anche, come abbiamo sentito or ora da un’espressione di René Laurentin, Maria è serva perché Regina (per servire occorre regalità, altrimenti si auto-offende chi serve e si offende chi riceve l’atto di servizio). Maria ha attuato pienamente l’apparente paradosso del «servire è regnare».
Che cosa fa la Gloriosa in Cielo?
Il Dio «giusto e misericordioso che disperde i superbi e innalza gli umili» ha «coronato di gloria e di onore il Cristo» (Eb 2, 9), chiamandolo alla sua destra; lo stesso Padre «giusto e misericordioso» ha esaltato l’umile Vergine di Nazaret accanto al Figlio. La regalità di Maria culmina nella incoronazione gloriosa. La corona di gloria che lei riceve è anzitutto simbolo della sua santità e che condivide, in modo inarrivabilmente alto, con tutti i santi; è simbolo, inoltre, della ricompensa divina a lei riserbata per la lotta condotta contro il male (cfr. 2 Tes 2, 19; 1 Cor 9, 25); la sua corona di gloria è profezia e preludio dell’incoronazione dei fedeli, poiché essa è premio o conclusione della fedeltà a Cristo (cfr. 2 Tm 4, 7-8).
Maria in Cielo è la Regina Madre alla destra del Figlio. È anche la Sposa del Re Messia nel giorno delle sue nozze gloriose che succedono alle nozze martiriali che lei ha celebrato col Figlio sul Calvario, quando il sangue di lui è stato il sigillo di quel patto nuziale. L’Assunzione non è l’ultima data della esistenza mariana, ma la premessa della sua glorificazione piena ed eterna. Con l’Assunzione, entrando Maria in Cielo, viene operata una molteplice restituzione, che è anche la trama della glorificazione di Maria: «Fu restituito al Re il suo trono, il paradiso all’albero della vita, l’aureola luminosa al sole, l’albero al frutto, la Madre al Figlio» (N. Cabasilas, In dormitionem Deiparae, 3,12).
Maria in Cielo realizza alla perfezione la vocazione per cui è stata creata, che comprendeva d’essere la Madre messianica e di partecipare a tutto l’evento Cristo. Con larghe esemplificazioni Maria in Cielo realizza un’esistenza dicibile con i tre verbi che il beato Antonio Rosmini Serbati ha fatto scrivere sulla sua tomba a Stresa: «Adorare, tacere e godere». Maria adora il Dio trinitario con la profonda santità di cui dispone; tace, vivendo la più profonda intimità con Dio col trasporto contemplativo del silenzio; gode, con tutta l’anima, della compagnia del Figlio.
Maria in Cielo è pura «lode della gloria» (cfr. Ef 1, 14) e Lassù inneggia a Dio anche a nome di tutta la creazione e, in particolare, della Chiesa, per la quale intercede incessantemente presso il Figlio, mentre la prepara a vivere il suo stesso destino di Gloria. Perciò, la Chiesa contempla la Gloriosa quale immagine e pegno di quello che un giorno accadrà a lei in termini di glorificazione, quando finirà di radunarsi intorno al trono dell’Altissimo.
Gesù ha incoronato sua Madre per sempre
Già in altre epoche c’è chi ha avuto da obiettare, con motivazioni diverse, sull’attribuzione a Maria del titolo di Regina (ad esempio, Lutero, Erasmo) e anche alla fine del Novecento è tornata questa critica, con motivazioni, più che deboli, teologicamente illogiche, come quella che troviamo in un libro scritto da cinque donne spagnole, di cui quattro laiche e una religiosa: Isabel, Esperanza, Mercedes, María e Demetria. Il testo è intitolato: María, mujer mediterránea (Bilbao 1999). Le parole introduttorie di Isabel lamentano che la figura di Maria sia stata costruita da uomini che ne hanno reso irriconoscibile la vera figura, cosicché Isabel scrive: «Nel caso di Maria, la sua vita autentica ci obbliga ad abbandonare le sete e le corone per seguirla nei cammini polverosi e poveri della sua nativa Galilea. Ci obbliga a incallire le sue mani e a disegnare rughe sul suo volto terso e giovanile. Ci obbliga a coprire la sua tunica immacolata con un grembiule. Ci obbliga a immaginarla mentre trasporta acqua dal pozzo, impasta il pane, allatta, aggiunge rammendi al panno sciupato, frega il suolo… Tutte faccende che hanno fatto le donne per secoli» (pp. 13-14).
Bene si fa a ricordare la dimensione terrena di Maria (la mariologia del Novecento ha camminato in questa direzione), ma non possiamo dimenticare che Maria non finisca in terra e non sia esemplare solo per il suo impegno di Donna: c’è un progetto divino che la vede coinvolta nella “storia della salvezza” che sfocia oltre la storia stessa, ossia nella Gloria del Cielo. Non è possibile dimenticare che Maria compia un itinerario che va dal servizio alla corona di gloria, anzi che venga da Gesù glorificata proprio perché è serva, non considerando neppure che chi seguirà la serva del Signore avrà come lei la corona di gloria promessa a tutti i servi fedeli del Signore.
Togliere la corona dal capo della Gloriosa? E perché? In ultima istanza, questo significherebbe privarla di un elemento significativo della sua partecipazione alla Gloria del Figlio risorto e, in più, sottrarrebbe ai fedeli un simbolo eloquente del futuro felice che il Padre riserva ai fedeli discepoli del Figlio. Bene ha risposto S. De Fiores alla Isabel ricordata sopra, pur cercando di capire le ragioni del suo dire: «Non ci sentiamo tuttavia di togliere la corona dalla fronte della Madre di Dio, perché nel piano della sapienza divina essa fa parte, come necessaria conseguenza, di una vita di servizio del Signore nell’umile condizione della donna alle soglie del Nuovo Testamento. In particolare, in lei, serva innalzata a madre del Signore e proclamata beata da tutte le generazioni, scopriamo il cammino del credente dalla kénosi alla gloria» (Incoronata: Nuovissimo Dizionario. Maria, Dehoniane, Bologna 2006, p. 882).
In chiusura, su questo tema mal compreso e maltrattato, va osservato che il vero problema di fondo è come fare teologia. Questa la si pensa e la si scrive attivando tutte le risorse che servono, non una in meno: la base scritturistica, la voce dei padri della Chiesa, la molteplice tradizione della Chiesa (liturgia, storia del dogma, quando è disponibile: una buona agiografia), docenza magisteriale, storia della teologia, dialogo con la cultura del tempo e altro. Provare a far teologia con un solo materiale (ad esempio, nel nostro caso, la dimensione antropologico-sociale di Maria) non si riesce a costruisce una casa, ma al massimo un cippo rivendicativo e propagandistico.
La teologia è sinfonica come la verità di fede che vuole servire (cfr. Hans Urs von Balthasar). E in più, non si può smontare, vivisezionare l’unitaria esperienza cristiano-ecclesiale né spezzare insipientemente i fili che intessono la “logica dei misteri” e neppure quegli altri fili preziosi che tengono uniti i termini degli ossimori cristiani, ad esempio di quelli mariani: verginità-maternità, immacolatezza-redenzione, creaturalità-maternità divina e servizio-regalità. È un torto teologico che si fa a Maria proprio nel momento in cui si promette di “dir bene” di lei, quale dev’essere sempre, per codice irrinunciabile, il… pensare la fede della Chiesa, ossia la Teologia e, perciò, anche la Teologia mariana.
di Michele Giulio Masciarelli