«Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia». Cosa avrà visto l’esattore di Gerico in quello sguardo da farlo scendere in fretta dall’albero dove si era nascosto per vedere Gesù? La risposta è nella prima lettura, dal libro della Sapienza: «Signore, tu hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono». In quello sguardo, l’uomo ha trovato ciò che gli mancava e che gli aveva fatto prendere la decisione di nascondersi nel sicomoro, rischiando il ridicolo e anche di più: gli esattori delle tasse non hanno mai goduto di simpatia, figuriamoci quando, come quelli dell’impero romano, potevano stabilire da soli lo stipendio, guadagnando sul sovrapprezzo di ciò che spettava all’imperatore. Ecco perché l’esattore di Gerico, città importante e molto trafficata, era diventato, probabilmente con metodi poco gentili, tanto ricco da potersi permettere di dare senza rimanere in bolletta la metà dei suoi beni ai poveri, e di risarcire eventuali furti con rimborsi quattro volte più grandi.
Ma cosa gli mancava?
Con tutto quello che aveva cosa poteva spingerlo a cercare di vedere Gesù? Il Maestro era passato altre volte a Gerico, condannando energicamente la “ricchezza disonesta”, accumulata con l’inganno e la prepotenza. Sicuramente gli saranno stati riferiti i minacciosi: “Guai a voi, ricchi!” (Lc 6,24). Allora perché ha rischiato di trovarsi a essere indicato come esempio concreto di ricchezza ingiusta? Non lo sappiamo, ma forse non lo sapeva neanche lui. Dentro, però, soffriva per un confuso desiderio di qualcosa che i beni non riuscivano a soddisfare. Cosa fosse quel desiderio lo scoprirà, nascosto tra le foglie del sicomoro, nello sguardo di Gesù. In esso nessuna rabbia, nessun disprezzo, nessuna sete di rivalsa, nessuna maledizione, come era abituato a vedere negli sguardi di coloro che gettavano il loro tributo sul suo bancone, ma un invito a essere ospitato a casa sua. A casa sua! La casa di un impuro che per il lavoro che svolgeva non poteva entrare nelle sinagoghe e nel tempio. Ecco quello che gli mancava: sentirsi accolto. Per questo «scese in fretta e lo accolse pieno di gioia»: la gioia che tutta la ricchezza e il potere gli avevano fatto soltanto desiderare. Adesso poteva con serenità pregare: «Signore, tu hai compassione di tutti. Tu ami tutte le cose che esistono». Tu ami anche me.
Il desiderio che non può mancare
La vicenda di Zaccheo per lo stile essenziale ed efficace e per le motivazioni interiori che lascia immaginare, è bellissima. Attenzione, però, a non considerarla soltanto un bellissimo racconto, perché è l’invito forte a verificare se in noi è presente il desiderio «di vedere chi è Gesù» nella nostra “Gerico” quotidiana. Senza questo desiderio la nostra fede non sarebbe accogliere Gesù nella nostra “casa” per portare la gioia che non troviamo in nessun altro e in nient’altro, ma religione vuota, ridotta a riti, preghiere e pratiche sterili, perché la sua gioia non ci serve, avendola trovata altrove, o altrove la stiamo cercando. Se fosse così, saliamo sul sicomoro per riuscire a vedere Gesù che si ferma e ci rivolge il suo sguardo.
La conversione gioiosa
Il racconto evangelico che stiamo meditando viene chiamato: “la conversione di Zaccheo”. Ovviamente non è un errore, a patto che si riesca a liberare la parola “conversione” da tutti i significati negativi che la fanno sembrare un avvenimento triste, basato su rinunce a tutto ciò che è bello e piacevole, accettate per paura delle punizioni di Dio e delle fiamme dell’inferno. La conversione è trovare nello sguardo di Gesù ciò che nessuno e niente altro può dare, rinunciando non per “penitenza”, ma per dono. A Zaccheo Gesù non chiede niente in contraccambio. È lui che si alza e dice: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
LA VIA DI ZACCHEO ALLA SANTITÀ
La conversione di Zaccheo, meditata in concomitanza con la Solennità di Tutti i Santi, offre l’occasione di rivedere, se ce ne fosse bisogno, la nostra idea di santità. La fantasiosa e affascinante visione dell’Apocalisse apre uno spiraglio sull’ultima pagina della vicenda umana: «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua davanti al trono e all’Agnello». Chi sono i componenti di questa moltitudine? Pur senza la presunzione di spiegare ciò che non si può spiegare, si può affermare non possono essere altro che i santi, parola che suscita ammirazione e rispetto, oppure, non solo tra i non credenti, un velo di commiserazione, come se fossero come quelli che hanno rinunciato a godersi la vita Non è così. I santi sono quelli che hanno adoperato i doni di Dio, trafficandoli al meglio delle loro possibilità e potenzialità per il bene comune, senza ammucchiarli egoisticamente per se stessi, oppure disperdendoli con la volgarità, lo spreco, l’inganno, l’arroganza, l’ingiustizia.
Compagni di viaggio
Forse a differenza di tempi passati, nei quali dei santi e della santità si poteva avere una concezione negativa, perché erano raccontati come quelli che fin da bambini pregavano sempre, digiunavano, dormivano per terra, più soffrivano più erano contenti… Oggi non è più possibile, perché questo nostro tempo ci ha donato tanti santi che hanno camminato con noi, che abbiamo incontrato, che abbiamo sentito parlare, che abbiamo visto in TV: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II, Padre Pio, Madre Teresa… E non solo papi, preti e suore ma madri come Giovanna Beretta Molla, Chiara Corbella, e – come se Dio si volesse divertire – anche un ragazzo di 14 anni: Carlo Acutis. E chissà quanti altri. Vogliamo provare a individuarli e a contarli? Non occorre aspettare che siano dichiarati tali ufficialmente, basta richiamare alla memoria nonni, genitori, amici, colleghi che hanno vissuto o che vivono in tutti i luoghi e le condizioni di vita, permettendo a Gesù di fermarsi nella propria casa, come Zaccheo, perché come lui sono saliti sul sicomoro per guardare la vita con gli occhi di Gesù.
Lo Zaccheo che è in noi
Piccoli di statura come siamo, per camminare umilmente sulla strada che porta alla moltitudine immensa davanti al trono di Dio, se il volto di Gesù si fosse appannato non esitiamo a salire sul sicomoro di Gerico, per tornare ad accoglierlo in casa, imitando, non per penitenza o per imposizione, ma liberamente e con gioia la sua decisione: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Senza dimenticare di tenere bene aperta la mappa di tutte le strade che conducono alla «moltitudine immensa»:«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli… grande è la vostra ricompensa nei cieli». N.B. «È» non «sarà».