CONFESSIONE ANTICA
Io non so dire cosa sia il prete: e sono un prete! Anzi, un frate.
Già questo è un po’ diverso. Questioni tuttavia, cui non voglio
ora pensare. Io sono tutti voi, sono popolo intero. Certo è che
devo pagare per tutti. E per amore. Ho cantato molto su
questa mia condizione misteriosa e, come vedete, non ho
finito. È stato proprio il mio sacerdozio a portarmi a questi
estremi: agli estremi della natura, agli estremi dei sentimenti,
ai confini del mondo. Io non credo che un prete possa
fermarsi a metà della strada o alla superficie delle cose.
In queste mani le cose o si sbriciolano e vanno in cenere,
oppure si trasfigurano come l’ostia e diventano luminose, e
tutta la terra si fa ostia. Anche questo mi è accaduto di
sentire e di esprimere. Soprattutto la «condizione umana» è
il ciclone implacabile del prete; e, dentro, Dio che lo fulmina.
Infatti è scritto: «Chi vede Dio muore». No, io non credo che il
prete sia «un fortunato uomo». E non voglio dire altro.
A me, per varie ragioni, non interessa la polemica in corso; non
interessa la figura «istituzionalizzata» del prete, il «potere»
del prete; a me interessa riuscire ad essere umanità
(apparuit humanitas); un golfo, una speranza; uno che
«sposata hai una pena / di non sentire mai / dolcezza alcuna /
che non sia di tutti»; uno «che non può / concedersi a queste /
momentanee paci: / tu sei la possibilità / di una viva /
solitudine / e il tuo sacerdozio / è un’oasi / ove essi hanno
diritto/d’approdare / dalle loro fatiche».
Anche altri possono fare ed essere questo?Tanto meglio…
Qui sono nella mia casa sopra il monte; nel paese di papa
Giovanni. Allora ero solo; solo, senza fratelli. Amici venivano
fino a notte tarda; dopo che nel giorno ero dovuto andare
come un condannato a predicare, a soccorrere. E quando
partivano mi sembrava che ognuno mi portasse via un brano
di carne. E, dopo, risalivo solo quelle scale, accanto
all’abbazia millenaria. Cosi, e in queste circostanze, ho
cantato.
(O SENSI MIEI…pag. 395)