Dinanzi agli occhi dei Padri del Concilio si apriva un “mare vasto” di problematiche umane ed ecclesiali. Oggi bisogna affrontare un mare in cui, tra i tanti rifiuti, sono gettati anche esseri umani
Il simbolismo dello scritto giovanneo risentiva dell’atteggiamento ostile al mare, presente in tante parti della Bibbia, come espressione di minaccia, pericolo e morte. È risaputo che il popolo ebraico non era marinaio; tuttavia i primi apostoli furono scelti fra i pescatori. Gli antichi andavano per mare per necessità, cercando di rimanere attaccati alla riva il più possibile. Nessuno lasciava la terraferma a cuor leggero, perché nel mare non ci sono strade tracciate. Persino nella pittura il mare era apparso molto di rado, e soltanto come fondale azzurro per scene di carattere storico, religioso e mitologico, o per le battaglie navali e le carte geografiche, specialmente negli affreschi e nei mosaici.
Nella letteratura religiosa e nella narrativa il mare è stato un simbolo poco amichevole. La nave come metafora della società veniva usata solo quando essa era in pericolo. La nave non doveva mai trovarsi fuori dal porto. Il cambio di atteggiamento nella letteratura si ha con Shakespeare, e nella pittura con il romanticismo. Il mare diventa la situazione della vita reale e il viaggio è la vera condizione dell’uomo. È palcoscenico di avvenimenti decisivi, di momenti di scelta importanti, di tentazione, caduta, purificazione e redenzione. Il mare come superamento dei limiti.
Gli studenti comprendono bene che oggi, alla luce del Concilio Vaticano II e della Laudato si’ di Papa Francesco, prevale la visione di una creazione di cui l’uomo è responsabile e si deve prendere cura, in vista di un progressivo compimento di tutto il creato. Siamo certi che anche il mare con la sua bellezza sarà in Paradiso: il cosmo intero sarà rinnovato, insieme a coloro che risorgono nell’amore di Cristo.
Gli accurati documenti preparatori al Concilio Vaticano II, mostravano l’atteggiamento dei pescatori che volevano gettare le reti vicino alla riva in acque tranquille, senza rischiare il mare aperto, mentre il mondo era in tempesta; apportando piccoli miglioramenti “cosmetici” con un linguaggio e con uno schema psicologico e mentale vecchio stampo nel pensarsi Chiesa.
L’arrivo a Roma di un’onda di umanità, per la prima volta nella storia, proveniente da tutto il mondo, con domande vere, piene di speranza, e che chiedevano risposte reali per il bene del popolo di Dio, fece staccare le ancore delle false sicurezze. Il “mare vasto” che si apriva davanti agli occhi dei Padri Conciliari, e che li poteva far sentire a disagio, erano: le grandi problematiche dell’umanità sofferente; il dolore per la divisione fra le chiese cristiane; l’isolamento delle diocesi e delle comunità; la necessità della riforma liturgica; il recupero di una fede più libera dagli schemi mentali e filosofici, senza ipocrisie; il dialogo aperto con tutte le culture e le religioni per un incontro sincero; la ripresa della dimensione missionaria della Chiesa.
Da una situazione statica e consolidata, ci fu una presa di coscienza del dinamismo della vita umana, con l’apertura a molteplici relazioni. Chi ebbe il coraggio di addentrarsi in questo mare, spinto dal vento dello Spirito Santo, intraprese un lavoro straordinario, che deve essere portato avanti. Ce lo ha ricordato Benedetto XVI nell’udienza generale del 10 ottobre 2012 a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II: «I documenti del Concilio Vaticano II a cui bisogna ritornare… sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta… Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci»: Sacrosamtum Concilium, Lumen gentium, Dei Verbum, Gaudium et Spes.
Oggi più che mai la Chiesa deve riprendere il coraggio conciliare di lasciare la terraferma per andare incontro ad una vasta umanità naufraga. Non ci possono lasciare indifferenti gli “sbarchi di umanità” a cui assistiamo. È la carne di Cristo. Non è un nemico, un invasore da respingere (hostis). Ma uno straniero, un fratello da ospitare (hospes). In questo momento di vacanza il nostro splendido mare Mediterraneo deve essere per tutti «una frontiera di pace», come disse Papa Francesco nell’incontro di Bari lo scorso febbraio. Bisogna «pregare e riflettere sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull’altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria» e ora nel Libano, dove «si consuma un’immane tragedia».
In tanti altri punti del mondo ci sono mari usati come confine spinato e come immondezzaio; situazioni di ingiustizie che un cristiano non può non vedere, dove le scelte politiche hanno un valore reale. Proprio in questi giorni Papa Francesco invita a pregare per i politici e a non insultarli «anche se non la pensano come noi». Questo non significa appoggiare i proclami di respingimento e di odio. Bisogna assumere posizioni chiare, prendere le distanze da coloro che considerano ancora oggi il mare luogo che risucchia tutto il negativo, luogo del male e dello scarto. Non basta tenere i rosari in mano e dichiararsi praticanti, senza portare sollievo ai molti fratelli, novelli Abele, vittime della mentalità violenta e predatoria, che usa l’indifferenza e la paura, come se nel mare si possano gettare tra i tanti rifiuti anche gli esseri umani.
All’asciutto, noi nati perfetti e puri
ci ritroviamo a pregare.
La fede diventata mestiere.
Vergogna e timore.
Nessuno tocchi Caino.
Però. Qualcuno lo fermi!
(Dalla poesia Qiqajon di Filomena Rizzo)
* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia