Il Patriarca di Mosca risponde al segretario ad interim del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ioan Sauca, un romeno ortodosso, imputando all’Occidente e alla Nato la responsabilità della tragica guerra in atto. La riflessione del teologo Pino Lorizio, della Pontificia Università Lateranense, che confuta la visione teologico-morale a sostegno del Cremlino ma sollecita maggior vigilanza per spegnere sul nascere i sentimenti anti russi che si stanno affermando nei cuori, nei media e nella società
Il segretario ad interim del Consiglio Ecumenico delle Chiese Ioan Sauca (romeno ortodosso) aveva scritto al patriarca Kirill il 2 marzo scorso (mercoledì delle Ceneri) per invitarlo in maniera ferma ed accorata a prendere posizione contro la guerra e a farsi mediatore di pace fra Ucraina e Russia. Abbiamo già commentato la posizione del patriarca nel sermone di domenica 6 marzo, Ora è stata resa nota la lettera di risposta al CEC, datata 10 marzo (qui in versione italiana). L’interpretazione “metafisica”, per alcuni in chiave “apocalittica”, di quanto sta accadendo viene qui ribadita e riproposta senza alcun tentennamento. La mentalità russa è strutturalmente mistica e metafisica. Il che, mentre ci aiuta a comprendere l’ermeneutica della storia che viene anche qui proposta, ci suggerisce di prendere le distanze non dalla mistica e dalla metafisica tout court, che caratterizza la cultura russa, ma da questa visione manichea e violenta, che giustifica la guerra. Se dovessimo adottare la visione di Kirill finiremmo con l’offrire il fianco alla famosa tesi di Samuel Huntington circa lo “scontro delle civiltà” (1996), testo che peraltro fa riferimento proprio alla possibilità di un conflitto fra Russia e Ucraina, quando, ad esempio, alla stregua di John Mearsheimer, ritiene la situazione «ormai matura perché tra i due paesi esploda un’accesa rivalità» (1993).
La lettera del patriarca comunque può generare qualche ulteriore riflessione. Innanzitutto, si conferma che siamo di fronte a un conflitto contro l’Occidente, che sarebbe responsabile di aver avviato e perpetrato le ostilità. Scrive Kirill: «È mia ferma convinzione che i suoi iniziatori non siano i popoli della Russia e dell’Ucraina, che provengono da un unico fonte battesimale kievano, sono uniti da una fede comune, da santi e preghiere comuni, e condividono un comune destino storico». Il riconoscimento delle radici ucraine della fede (da Kiev è partita l’evangelizzazione della Russia) non può tuttavia rivolversi nella identificazione dei due popoli. Se fosse questa l’interpretazione del loro “comune destino storico”, allora l’Ucraina dovrebbe essere omologata alla grande madre Russia, rinunciando alla propria autonomia e autodeterminazione. Ma non è così: popoli fratelli non sono la stessa realtà, ma due realtà certamente non separate, ma distinte.
Inoltre, una componente non secondaria del conflitto viene individuata da Mosca nel cosiddetto scisma, la cui responsabilità è attribuita al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, sicché allo stato attuale in Ucraina convivono due chiese ortodosse, una filorussa e l’altra locale autocefala, la prima presieduta dal patriarca Onufrio, l’altra da Epifanio, ma entrambi questi uomini di chiesa si sono pronunziati fin dall’inizio contro la guerra, invocando la pace per la loro terra, a differenza di Kirill, che sottolinea la componente religiosa del conflitto: «Tuttavia, la cosa più terribile non sono le armi, ma il tentativo di “rieducare”, di ricostruire mentalmente gli ucraini e i russi che vivono in Ucraina in nemici della Russia. A perseguire lo stesso fine è stato lo scisma ecclesiastico creato dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel 2018 per dividere la Chiesa ortodossa ucraina».
Un elemento non marginale che sta a cuore al Patriarca di Mosca viene individuato e segnalato col ricorso alla “russofobia” dilagante: «i leader occidentali stanno imponendo alla Russia tali sanzioni economiche che saranno dannose per tutti. Essi rendono le loro intenzioni palesemente ovvie: portare sofferenze non solo ai leader politici o militari russi, ma specificamente al popolo russo. La russofobia si sta diffondendo nel mondo occidentale a un ritmo senza precedenti». A tal proposito penso che, come occidentali, abbiamo bisogno di purificare la nostra mentalità, il nostro linguaggio e i nostri comportamenti. Innanzitutto, per non offrire alla Russia e all’Oriente l’immagine di corruzione e decadenza morale, che alimenta l’odio verso di noi, ma anche per allontanare ogni dubbio circa la nostra russofobia. Gli episodi relativi alla espulsione della figura di F. Dostoevskij da una università, l’allontanamento di personalità culturali, in particolare nel campo della musica, dalle nostre orchestre e dai nostri teatri, per dirne solo qualcuna, finiscono con l’alimentare la convinzione che fra noi prevalga la tendenza russofobica. Da teologo mi sento al contrario di affermare che la nostra riflessione si nutre abbondantemente della lezione di pensatori come Pavel A. Florenskij, Sergej N. Bulgakov, Pavel N. Evdokimov, Alexander Schmemann e non abbiamo nessuna intenzione di espungere i riferimenti a questi grandi dai nostri saggi e dalle nostre lezioni, anzi da loro impariamo che la mistica e la metafisica dell’autentica spiritualità russa non coincidono affatto con la visione di Kirill, anche se esprimono sull’Occidente giudizi severi e per certi aspetti profetici. Sarà oltremodo necessario in queste drammatiche e tristi giornate sorvegliare il nostro linguaggio e i nostri atteggiamenti perché non si insinui in chi non l’avesse già adottata e non si confermi in altri la convinzione relativa ad un Occidente russofobico e per questo fondamentalmente razzista.