“Certamente la Pasqua 2020 è stata tra le più sofferte della mia vita, ma, penso, anche tra le più vere. Una Pasqua segnata non tanto dall’incontro con ’sorella morte’ bensì con il Signore risorto e con dei fratelli morti e risorti. La lista è lunga: il vescovo emerito Mariano De Nicolò chiamato alla Casa del Padre il sabato santo, il giorno di Pasqua è toccato a don Ferruccio Cappuccini, due giorni più tardi al diacono Maurizio Bertaccini. Un vescovo, un prete e un diacono, quest’ultimo proprio a causa del Covid-19.
Si tratta di esperienze molto sofferte, insieme a diverse altre, ma vissute alla luce della piccola fiammella del cero pasquale qual è la luce del Cristo risorto. Ma non mi sento di dire che noi cristiani quest’anno abbiamo saltato la Pasqua.
Le nostre comunità certo non hanno potuto celebrarla con l’esultante liturgia della veglia pasquale.
La Pasqua non è stata tanto una celebrazione ma un evento: ed è la chiave per comprendere il cammino che stiamo percorrendo”.
In tanti, anche tra i fedeli e nella Chiesa, si sono domandati dove poter vedere oggi segni di risurrezione.
“Perché Gesù è risorto? è l’interrogativo che mi rimbalza forte nel cuore. Nel rispondere a questa domanda, rischiamo di prendere scorciatoie che ci portano fuoristrada: “era il Figlio di Dio, e quindi era una cosa naturale che risorgesse”.
Occorre invece imboccare un’altra strada. Per l’uomo vivere è amare, è ricevere amore e dare amore, è sentirsi amato e sentirsi di amare: questa è l’esperienza più esaltante della vita.
Nel Cantico dei Cantici si legge che «forte come la morte è l’amore». Il contrasto non è dunque tra morte e vita bensì tra morte e amore. Ma in quel suggestivo passo dell’Antico Testamento si assiste ad una sorta di pareggio tra morte e amore.
Nel Nuovo Testamento si dice qualcosa di più. L’amore è più forte della morte.
Riprendo allora la domanda: perché Cristo è risorto? Perché il Padre non poteva non risvegliare il Figlio dalla morte, in quanto il Figlio ha amato fino all’estremo: «avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine», non fino all’esaurimento bensì fino al compimento. Gesù è risorto, ma non come Lazzaro, che è tornato all’indietro, alla vita di prima.
Cristo è risorto in avanti per far risorgere noi con lui. Infatti ha iniziato con i discepoli passati dalla incredulità alla fede, dalla disperazione e dalla rassegnazione alla speranza, dall’autoripiegamento all’apertura, addirittura fino ad abbracciare il mondo intero: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo».
La grandezza della Pasqua non sta ’solo’ nella risurrezione di Cristo, ma nel fatto che Gesù è risorto per far risorgere ciascuno di noi. Così la nostra risurrezione è già cominciata.
Nell’uomo non è ancora manifesta la risurrezione gloriosa di Cristo, ma nel battesimo noi siamo già risorti, siamo già rinati.
San Paolo lo dice chiaramente in due versetti. Nella Lettera ai Romani: «Offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti». Offrire la propria vita, questa è la liturgia vera, non tanto sacrificare a Dio un povero agnellino che non c’entra niente con i miei peccati.
In un passo della Lettera ai Colossesi Paolo aggiunge: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù». Non si tratta delle cose a mezz’aria ma della vita risorta. Quando intendiamo affermare valori che meritano di essere vissuti, ci esprimiamo con l’immagine dei valori più alti. L’amore lo immaginiamo in alto, in cima agli altri valori. Cercare i valori più alti significa dunque vivere una vita all’insegna di amore, solidarietà, pace e gioia”.
Vescovo Francesco, la Pasqua è da intendere come la chiave di lettura, anzi di accesso all’emergenza sanitaria che stiamo tutti soffrendo, che sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle?
“Mai l’umanità si è trovata di fronte alla morte come in questo caso. Ma i credenti sanno che Dio non è mai così vicino come quando si fa esperienza del dolore, della paura e della morte.
La Pasqua è la chiave di accesso per il cammino che ci attende: non si tratta di una ripartenza, non torniamo all’indietro come è accaduto a Lazzaro, alla figlia di Giairo o al figlio della vedova di Nain, che più che dei risorti, sono da considerarsi dei sopravvissuti.
Il nostro non potrà essere un ritorno all’indietro: è piuttosto una rinascita a vita nuova: una risurrezione morale, anzitutto, per essere poi culturale, sociale e perfino economica. Si tratta di cambiare a 360 gradi la nostra vita.
Non possiamo tornare alla condizione precedente la pandemia: chi stava bene sogna di stare altrettanto bene se non meglio. Ma poi, i poveri? E tutta l’umanità che soffre?
C’è dunque un virus che va combattuto, ancora più letale del Covid-19: l’egoismo, l’iolatria. Il padre di tutti gli idoli è l’io malsano, narcisista, antagonista e cattivo. Alla domanda: quando passerà questa pandemia? Possiamo rispondere: certamente quando la maggioranza dell’umanità si sarà coalizzata contro questo virus micidiale, portatore di infezione per sé e per gli altri. Passerà quando noi passeremo (Pasqua significa passaggio!) da una vita ripiegata, spenta, egoista ed arrabbiata, ad una vita veramente e pienamente umana”.
È possibile fare questo scatto se alle spalle abbiamo mesi di relazioni sociali impedite, migliaia di ammalati e di morti, defunti senza il conforto di alcuno, liturgie impedite al popolo, un’economia già in ginocchio?
“Se noi ’poveri cristiani’ affrontiamo l’esperienza della pandemia con la fede in Cristo, potremo sognare insieme.
Ecco il verbo che dobbiamo imparare a coniugare: consegnare, sognare insieme.
Allora potremo anche consegnare, segnare insieme la nostra vita con quei valori alti di cui dicevamo prima.
Con-sognare e con-segnare significa incarnare nella vita i nostri sogni più veri con i valori più alti, non per farli confliggere ma per farli convergere”.
Può essere più chiaro, vescovo Francesco? A quali valori fa riferimento?
“Per brevità ne cito solo alcuni.
Comunità e persona, ad esempio: non possiamo ritornare all’individualismo ripiegato e autocentrato, e neppure ad una sorta di comunitarismo anonimo e massificante. Occorre invece far convergere persona e comunità. Inoltre occorre mettere insieme fede e ragione, come le due ali che possono battere insieme senza scivolare sul piano inclinato del razionalismo o del fideismo. L’ultimo passo della ragione è accettare un’infinità di cose che la sorpassano (Pascal).
E ancora, tradizione e innovazione, perché la vera tradizione non è conservare la cenere del passato, ma trasmettere il fuoco del futuro.
Occorre anche rinsaldare la catena delle generazioni: giovani e anziani. Lo aveva anticipato il profeta: i giovani sogneranno sogni e gli anziani avranno visioni.
Il nostro è un cambiamento d’epoca, ce lo ricorda spesso Papa Francesco, ma non un’epoca di cambiamento. E quando soffia forte il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento, recita un proverbio giapponese.
Il bello di una fede davvero umana è l’atteggiamento di chi non dribbla le prove o bypassa la sofferenza, ma ne fa l’occasione opportuna per un ‘cambio di passo’, proprio come lo è stata la morte di Cristo, che ad una violenza totalmente ingiustificata ha risposto con una dedizione totalmente incondizionata.
L’evangelista Giovanni presenta la crocifissione come l’esaltazione di Gesù: la vera gloria non viene dopo la sua morte, ma incomincia già il venerdì santo, quando possiamo contemplare nella croce l’esaltazione dell’amore crocifisso e risorto”.
Concretamente, cosa dobbiamo fare? E cosa dovrà fare la Chiesa di Rimini a partire già da questa Fase-2?
“Il primo movimento è il discernimento: cosa ci sta dicendo ora il Signore? È importante ascoltare le due grandi fonti della Parola, le due antenne fondamentali: la parola di Dio e quella impastata nella storia. Cosa ha detto Dio quando il suo popolo era schiavo in Egitto, e Israele come ha letto quella situazione? Mosè era fuggito dall’Egitto e credeva di essere arrivato al compimento della sua vita. Dio invece lo chiama per ’guidare’ la liberazione di Israele, e si mette al suo fianco: «Io sono con te».
Mai Dio ci è così vicino quando siamo nella prova. Non possiamo pensare a un Dio giustiziere e giustizialista che ci abbandona a catastrofici e crudeli castighi, e sarebbe con noi solo a giorni o a mesi ed anni alterni.
Al popolo d’Israele costretto all’esperienza lunga e dolorosa dell’esilio, Dio invia profeti a decifrare quella storia di dolore non come la morte del popolo ma come il suo risorgimento.
Sarà quindi necessario per noi intercettare il vissuto delle persone, delle famiglie, delle comunità. Dovremo ascoltare il grido dei poveri, incontrare e farci aiutare da coloro che hanno vissuto questa prova terribile sulla propria pelle.
Cos’hanno da darci e da dirci tanti nostri fratelli e sorelle?
Anche alcuni preti si sono raccontati in questi tempi drammatici.
Sarà importante ascoltare voci di persone e di comunità, come, ad esempio, quella di Montetauro, epicentro di una vicenda che ha toccato il punto più alto con la santa morte del diacono Maurizio Bertaccini.
Una comunità fatta di poveri, i quali proprio dalla luce di Cristo risorto traggono luce ed energia per vivere questo tempo come un’occasione e un’opportunità.
Dovremo dedicarci ad una stagione dell’ascolto, per rintracciare quali parole il Signore ha scritto nella storia e nelle vicende particolari degli uomini e delle donne, al tempo del Coronavirus”.