«La Chiesa ha bisogno che salgano all’onore degli altari uomini di Dio come Giorgio La Pira». Padre Gianni Festa fa una pausa mentre parla del sindaco “santo” di Firenze, modello di cristiano che si spende per il bene comune fra Palazzo Vecchio, l’Assemblea costituente, il Parlamento. E subito riprende: «Perché occorre ribadire con chiarezza che la politica non è lo sterco del diavolo ma la più alta forma di carità, secondo una celebre frase di Pio XI che venne ripresa da Paolo VI. Lo ha testimoniato La Pira ma anche, per citare due esempi, Robert Schuman che è stato dichiarato venerabile di recente o Alcide De Gasperi di cui è in corso la causa di beatificazione». Una pausa. «E il vero miracolo che una “stella” come La Pira ci consegna è la sua eredità che ha un così efficace influsso ancora oggi. Un’eredità attualissima, straordinaria, profetica».
Domenicano, docente di storia della Chiesa medievale e moderna e di teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, padre Festa è il postulatore dell’iter canonico del docente universitario e parlamentare democristiano che lega il suo nome al capoluogo toscano dove muore nel 1977, benché sia nato in Sicilia, a Pozzallo, nel 1904. Apostolo della pace, della giustizia e del dialogo, “ingegnere” di ponti fra le nazioni, amico degli operai e della “povera gente”, padre costituente, asceta ma al tempo stesso concretissimo nella sua azione pubblica, è venerabile dal 5 luglio 2018 per volontà di papa Francesco. Il religioso sta portando avanti il processo affidato all’Ordine dei frati predicatori perché, tiene a precisare, «La Pira era laico domenicano».
Padre Festa, La Pira sarà beato?
Tutto dipenderà dalla diffusione della sua fama di santità. È stata una delle prime cause che ho seguito quando sono stato nominato postulatore dell’Ordine e ho concluso la positio. Dal momento che occorre il riconoscimento di un miracolo, serve che sia divulgata la figura del venerabile perché chiunque lo invochi e chieda la sua intercessione.
Possono contribuire gli incontri dei vescovi del Mediterraneo che si ispirano proprio alle intuizioni di La Pira?
Sicuramente. Tuttavia gli eventi che hanno come scopo quello di rilevare la grandezza dell’uomo, il suo spessore spirituale, morale, intellettuale e civile non possono restare confinati all’ambito accademico. Va favorito lo zelo che faccia crescere la devozione verso di lui, convinti che La Pira sia davanti al trono di Dio e possa essere nostro “avvocato” presso l’Altissimo, come sarà mostrato da una guarigione inspiegabile che rappresenta «il dito di Dio», secondo le parole del Papa. Per questo è urgente invitare la gente a rivolgersi a La Pira nella preghiera, magari iniziando dai lavoratori che hanno sempre avuto in lui un vero riferimento quando era sindaco, come nel caso delle Fonderie delle Cure e della Pignone.
A Firenze, la città del sindaco “santo”, si terrà il prossimo anno il nuovo appuntamento per la pace che, su impulso della Cei, radunerà i vescovi del Mediterraneo sull’esempio dei “Colloqui mediterranei” di La Pira. E in contemporanea si ritroveranno i sindaci di cento città del bacino.
È la scia lunga di una singolare primavera cattolica fiorentina che ha segnato il Novecento, una sorta di benedizione divina sulla città che dagli anni precedenti alla seconda Guerra mondiale è stata davvero “capitale di pace”. Cito, a titolo di esempio, qualche nome: accanto a La Pira, ecco il cardinale Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni, don Divo Barsotti o ancora don Lorenzo Milani. Ma aggiungerei anche il poeta Mario Luzzi che lascia trasparire tutto ciò nel dramma teatrale Opus florentinum che ha per protagonista il popolo di Firenze con i suoi santi e che, ripercorrendo la costruzione del Duomo, esprime la vocazione della città a essere faro di luce e luogo in cui l’epifania di Dio si è resa visibile.
In La Pira preghiera e azione si intersecano in maniera profondissima.
Non si può disgiungere il politico, l’intellettuale, il missionario della carità dall’uomo di preghiera. Basti ricordare la partecipazione quotidiana alla Messa, il legame con il Rosario, il ricorso alla preghiera delle contemplative come supporto e soccorso al suo impegno pubblico e alla sua opera di costruttore di pace. L’ancoraggio di ogni iniziativa stava nel rapporto di totale fiducia e confidenza nella Provvidenza. Aggiungo che numerosi episodi e scritti ci portano ad affermare che La Pira fosse anche un mistico. Il che non significa che fosse distratto dalle realtà celesti. Era un discepolo di san Tommaso. E aveva una particolare venerazione per santa Caterina la quale testimonia come la vita mistica fecondi le opere sociali. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha giustamente parlato di «pane» e «grazia» come coordinate della vita del venerabile.
La pace era uno dei fari per La Pira. Che cosa dice all’umanità ancora ferita del terzo millennio?
Il suo impegno per la pace deriva dal principio che fa di Cristo la chiave di lettura della storia. Nei suoi appunti torna più volte sulle tracce della presenza di Gesù nel mondo che possono portare all’unità del genere umano. Nella positio si ribadisce in diverse occasioni che la virtù della giustizia praticata da La Pira ha il suo cardine nella Risurrezione. Allora la ricerca della pace non è soltanto da intendersi laicamente o civilmente come assenza di guerra o accordi di riconciliazione, ma ha un fondamento teologale ed è necessità ineludibile dell’umanità che trova la sua radice nel Cristo vivente fra le pieghe della storia.
E a ispirare l’impegno politico era il Vangelo.
Dalle sue riflessioni emerge come l’azione politica sia un cammino di umanità e santità. Annotava infatti: «Io non sono un sindaco, come non sono stato un deputato o un sottosegretario. Non ho mai voluto essere né sindaco, né deputato, né sottosegretario, né ministro: si ricordi l’offerta di De Gasperi. La mia vocazione è una sola. Pur con tutte le deficienze che si vuole, io sono per la grazia di Dio un testimone del Vangelo». A marcare la sua vita è stata quindi la sequela Christi. Inoltre mi preme evidenziare che La Pira sia degnissimo compagno di Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati, anche quest’ultimo venerabile: tutti e tre intellettuali, politici, uomini di fede e di Chiesa; tutti e tre discepoli e amici di Giovanni Battista Montini fin dai tempi della Fuci.
Poi c’è la dimensione della povertà che ha segnato la sua esistenza.
La Pira era un consacrato: infatti faceva parte dell’Istituto dei missionari della regalità di Cristo fondato da Agostino Gemelli. Ed era laico domenicano. In questa tensione interiore, la povertà era uno stile di vita e non unicamente una forma di carità verso il prossimo. Spesso si sottolinea come La Pira non avesse mai i soldi in tasca perché dava tutto ai bisognosi. In realtà si trattava di una modalità di manifestare la sua adesione a Cristo povero e servo dell’uomo.
La biografia. Un politico accanto alla povera gente
«L’attesa della povera gente» è il saggio, cristiano e keynesiano insieme, che Giorgio La Pira pubblica nel 1950. Ed è la sintesi della sua parabola umana. Nato il 9 gennaio 1904 a Pozzallo, in Sicilia, si laurea in giurisprudenza all’Università di Firenze dove sarà poi docente di istituzioni di diritto romano. Nel 1927 diventa terziario domenicano e nel 1928 membro dell’Istituto secolare dei missionari della regalità di Cristo. Antifascita, viene eletto nel 1946 all’Assemblea costituente in cui sarà tra i più apprezzati estensori della Carta che vorrebbe si aprisse «Nel nome di Dio». È deputato nel 1948 e sottosegretario al Ministero del lavoro per volontà di Alcide De Gasperi. Eletto sindaco di Firenze nel 1951, guiderà la città fino al 1957 e poi dal 1961 al 1965. Sequestra case e ville sul Viale dei colli per ospitare gli sfrattati; interviene per evitare licenziamenti, come nel caso della Pignone. Promuove i “Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana”, il “Convegno dei sindaci delle capitali”, i “Colloqui mediterranei”. Lasciato Palazzo Vecchio, si dedica ai suoi viaggi di pace anche come presidente della Federazione mondiale delle città unite. Si spende per la pace in Vietnam volando fino ad Hanoi. Tornato alla Camera nel 1976, muore a Firenze il 5 novembre 1977. È venerabile dal luglio 2018.