Nella Chiesa sinodale promossa da papa Francesco non va considerato sorprendente il fatto che, prima di organizzare il tradizionale convegno internazionale per la Formazione permanente dei sacerdoti – che si svolgerà dal 6 al 10 febbraio – sia stato avviato un sondaggio per comprendere le richieste della base, i temi su cui puntare, le richieste più forti. E che a spiegare questa modalità innovativa sia adesso Chiara D’Urbano, psicologa, laica, una delle tre donne che lo scorso anno il Papa ha nominato tra i consultori del Dicastero per il clero.
Quali sono gli aspetti su cui i preti avvertono in modo più urgente il bisogno di formazione?
Condivido un dato significativo emerso proprio in merito alle tematiche del Convegno. Nei primi scambi avvenuti tra il prefetto del Dicastero, il cardinale Lazzaro You, gli officiali e noi consultori, sono stati individuati alcuni contenuti ineludibili per una riflessione sulla Formazione permanente dei sacerdoti nel terzo millennio. Ebbene, nelle risposte al sondaggio che è stato proposto, al momento dell’invito, si è riscontrata una piena convergenza tra gli argomenti abbozzati e le attese dei formatori. Un bel segno di essere sulla giusta strada nella preparazione dell’evento, che più che un punto d’arrivo vuole essere l’inizio di un processo. Partendo dal cambiamento d’epoca che stiamo attraversando, che coinvolge anche la Chiesa, emergono interrogativi identitari urgenti: chi è il presbitero oggi? Cosa ci si attende da lui? Sulla stessa linea di trasformazione della cristianità, l’importanza di recuperare la dimensione spirituale, spesso sacrificata ai carichi di lavoro, è un altro aspetto centrale che le risposte hanno restituito.
Cosa è emerso dal sondaggio?
Le tematiche sono diverse e tutte molto significative: sono pervenute, ad esempio, testimonianze incoraggianti di fraternità sacerdotale e di buone pratiche di collaborazione, anche con i laici, che nel convegno verranno condivise, perché bellezza e speranza facciano da sfondo alle giornate di febbraio. Abbiamo tutti bisogno di sentirci incoraggiati nella vocazione che viviamo. Tuttavia, non possono essere taciute anche le fatiche di molti presbiteri sulla cui vita pesa l’esperienza della solitudine. Si cercherà, quindi, di dare un respiro universale, non solo in senso geografico, ma anche di sensibilità e di vissuti dei presbiteri nel mondo, perché ognuno si senta riconosciuto e sostenuto.
Parlerete anche dei temi legati all’affettività e alla sessualità?
Sì, un’attenzione necessaria, secondo il sondaggio, è anche quella che riguarda la vita affettiva, di cui oggi c’è maggiore consapevolezza nella vita del sacerdote, per troppo tempo gravato da un disconoscimento della sua dimensione umana. Certamente sono temi che rendono necessari anche nuovi strumenti per il servizio pastorale e di accompagnamento, come è emerso dal Sinodo dei vescovi appena concluso.
Perché è nata l’esigenza di preparare il Convegno alla luce di una consultazione degli stessi presbiteri?
Nell’organizzazione del Convegno si respira un’aria nuova. Lo dobbiamo a Papa Francesco che auspica una Chiesa capace di camminare insieme per uscire dagli spazi circoscritti, di andare alle periferie umane, di dialogare e includere, in una parola, una Chiesa sinodale. Il sondaggio ne è espressione. Coinvolgere i destinatari di un Convegno, già in fase organizzativa, dando loro voce, è la proposta sinodale del Dicastero per il Clero – in collaborazione con i Dicasteri per l’Evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari, e il Dicastero per le Chiese Orientali – che non vuole limitarsi a relazioni frontali, ma si apre a giornate dinamiche e partecipate. Il sondaggio, in questa prospettiva, dunque, non è solo un’inchiesta, è piuttosto un momento di ascolto, per co-costruire e rendere utili i giorni insieme. Certo, ora bisognerà riuscire a tradurre le moltissime risposte pervenute, in un programma concreto di lavoro per i 5 giorni previsti.
Possiamo parlare di aria nuova?
Sì, l’aria nuova c’è, e auspichiamo che il convegno, anche nelle sue modalità concrete di svolgimento, potrà veramente farla assaporare, diventando un’esperienza viva, attiva, capace di sorprendere pure chi pensa all’evento solo come momento “istituzionale”.
Quanto contano le sollecitazioni della comunità, e quindi la presenza dei laici, per convincere un prete ad impegnarsi in un percorso di formazione?
La mia presenza come donna e come laica nel gruppo dei Consultori è molto indicativa di quanto la formazione iniziale e permanente sia su strade nuove. Ci sono realtà nel mondo dove le proposte di formazione permanente sono coordinate dai laici. C’è da dire che, però, la logica diffusa è spesso quella di un ennesimo impegno che si aggiunge ai molti quotidiani – ma non bastano gli anni che abbiamo già dedicato alla formazione? – forse perché talvolta è proposta sotto forma di incontri cadenzati e obbligati, quando poco utili, perché non colgono le reali necessità dei destinatari. Vista così è chiaro che la formazione permanente risulti “fastidiosa”.
E come riuscirete a dimostrare il contrario?
Il convegno anche attraverso alcune best practices che il sondaggio ha evidenziato, vorrebbe rilanciarla come un processo di attenzione e cura (aver cura, non “curare” in senso medico) di sé e della propria vocazione, di confronto, di sostegno continuativo per una missione di discepolato preziosissima. Se la formazione permanente iniziasse a uscire da un’ottica solo “scolastica” o di adempimento di doveri, e assumesse la prospettiva del benessere integrale, spirituale e psicoaffettivo del presbitero, sarà un bel segno che il convegno offre nell’orizzonte di attivare processi nuovi, e sinceramente sono convinta che questo accadrà.