I due punti, che sono stati soggetti a interpretazioni diverse e a discussioni recenti anche sui media, riguardano: l’uso delle chiese parrocchiali e l’eventuale istituzione di parrocchie personali per i gruppi che celebrano secondo il messale del 1962, promulgato da Giovanni XXIII prima del Concilio Ecumenico Vaticano II; l’uso di questo messale da parte dei sacerdoti che sono stati ordinati dopo il 16 luglio 2021, cioè dopo la pubblicazione del motu proprio.
Era già sufficientemente chiaro, in realtà, il testo di “Traditionis custodes”: si tratta di due casi circoscritti per i quali il vescovo, prima di decidere, deve chiedere l’autorizzazione al Dicastero per il Culto Divino, che a norma del motu proprio esercita l’autorità della Santa Sede su questa materia.
Sarà dunque il Dicastero, a seconda delle circostanze, a dare l’eventuale via libera all’ordinario diocesano.
Dopo aver ribadito, senza più alcuna remota possibilità di equivoco, che i due casi in questione sono “dispense riservate in modo speciale alla Sede Apostolica”, e dunque i vescovi sono obbligati a chiedere l’autorizzazione alla Santa Sede, il rescritto di Papa Francesco afferma: “Qualora un vescovo diocesano avesse concesso dispense nelle due fattispecie sopra menzionate è obbligato ad informare il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti che valuterà i singoli casi”.
Dunque in presenza di concessioni di chiese parrocchiali, dell’istituzione di parrocchie personali e del nulla osta all’uso del messale antico a preti ordinati dopo il luglio 2021 che siano state stabilite dall’autorità diocesana senza il consenso di Roma, il vescovo dovrà obbligatoriamente compiere il passo che non aveva compiuto prima attenendosi alla risposta del Dicastero.
Infine, con il nuovo rescritto papale Francesco “conferma quanto stabilito” nelle risposte ai dubia emersi dopo la pubblicazione di “Traditionis custodes”, risposte pubblicate insieme ad alcune note esplicative il 4 dicembre 2021. (Vatican News)