Viene dedicato a “chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita”, il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace del prossimo primo gennaio, quando il Giubileo sarà appena iniziato. Il tema è “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”. Un messaggio che vuole infondere speranza in tutto, in linea con il tema dell’Anno Santo e perciò il Papa suggerisce tre azioni possibili per “riaprire la via della speranza per ciascuno di noi”. La speranza, scrive, che “nasce dall’esperienza della misericordia di Dio, che è sempre illimitata”. La prima azione è la ripresa dell’appello lanciato da S. Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dell’anno 2000, di pensare a una «consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni». La seconda “un impegno fermo a promuovere il rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro, desiderando lo sviluppo e la felicità per sé e per i propri figli”. La terza infine consiste nel nel destinare “almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico”.
Per ognuno di questi impegni, che costituiscono nella visione di Francesco, una vera road map per la pace, il Pontefice ricorda poi l’urgenza di affrontare seriamente le diverse questioni.
Il debito estero. “Non mi stanco di ripetere – scrive papa Bergoglio – che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati. A ciò si aggiunga – prosegue il Pontefice – che diverse popolazioni, già gravate dal debito internazionale, si trovano costrette a portare anche il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati. Il debito ecologico e il debito estero sono due facce di una stessa medaglia, di questa logica di sfruttamento, che culmina nella crisi del debito. Prendendo spunto da quest’anno giubilare, invito la comunità internazionale a intraprendere azioni di condono del debito estero, riconoscendo l’esistenza di un debito ecologico tra il Nord e il Sud del mondo. È un appello alla solidarietà, ma soprattutto alla giustizia”.
“Riconoscendo il debito ecologico – aggiunge Francesco -, i Paesi più benestanti si sentano chiamati a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono. Certamente, perché non si tratti di un atto isolato di beneficenza, che rischia poi di innescare nuovamente un circolo vizioso di finanziamento-debito, occorre, nello stesso tempo, lo sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli”.
Il rispetto della vita e la pena di morte. Nel chiederlo il Papa sottolinea: “Senza speranza nella vita, infatti, è difficile che sorga nel cuore dei più giovani il desiderio di generare altre vite. Qui, in particolare, vorrei ancora una volta invitare a un gesto concreto che possa favorire la cultura della vita”. Perciò il Papa chiede l’eliminazione della pena di morte. “Mi riferisco all’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni. Questo provvedimento, infatti, oltre a compromettere l’inviolabilità della vita, annienta ogni speranza umana di perdono e di rinnovamento”.
Al bando il commercio delle armi. Il Papa si richiama a San Paolo VI e a Benedetto XVI e chiede di destinare i soldi che vanno agli armamenti all’educazione dei giovani. “Dovremmo cercare di eliminare ogni pretesto che possa spingere i giovani a immaginare il proprio futuro senza speranza, oppure come attesa di vendicare il sangue dei propri cari. Il futuro è un dono per andare oltre gli errori del passato, per costruire nuovi cammini di pace”.
Rimettere i debiti di qualunque genere. Spiegando il senso dell’Anno Santo, il Papa spiega anche che siamo tutti in qualche modo debitori. “Il suono del corno ricordava a tutto il popolo, a chi era ricco e a chi si era impoverito, che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore. Anche oggi – scrive Francesco -, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno, all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del «grido disperato di aiuto» che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra e che Dio non smette mai di ascoltare. A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che S. Giovanni Paolo II definì «strutture di peccato», poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa”.
L’impegno di ognuno. Il Pontefice richiama tutti alle proprie responsabilità. “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. All’inizio di quest’anno, pertanto, vogliamo metterci in ascolto di questo grido dell’umanità per sentirci chiamati, tutti, insieme e personalmente, a rompere le catene dell’ingiustizia per proclamare la giustizia di Dio. Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo”.
La preghiera finale. Il Papa conclude il suo messaggio con un augurio – “Il 2025 sia un anno di pace” – e una preghiera che riecheggia il Padre Nostro. “Concedici, la tua pace, Signore! È questa la preghiera che elevo a Dio, mentre rivolgo gli auguri per il nuovo anno ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà.
Rimetti a noi i nostri debiti, Signore,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,
quella pace che solo Tu puoi donare
a chi si lascia disarmare il cuore,
a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,
a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,
a chi non resta sordo al grido dei più poveri”.
La conferenza stampa. Nel corso della conferenza stampa di presentazione del messaggio, il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha annunciato che la Caritas Internationalis si farà carico di promuovere una campagna per la remissione del debito estero dei Paesi poveri. Anche se, ha precisato, il fatto che gran parte di questo debito sia in mano a privati rende più complicate le cose, rispetto all’analoga campagna del 2000.
Krisanne Vaillancourt Murphy, direttore esecutivo di Catholic Mobilizing Network, ha parlato della pena di morte. Un “peccato strutturale”, l’ha definito, presente in almeno 55 nazioni in tutto il mondo, dove circa 28.000 persone si trovano nel braccio della morte (questa statistica, ha precisato, non include i casi nei paesi in cui non ci sono statistiche ufficiali). “Nel mio paese d’origine, gli Stati Uniti, 27 dei 50 Stati hanno la pena di morte”.
Infine l’ingegner Vito Alfieri Fontana, che in passato lavorava in una fabbrica di armi e che adesso fa lo sminatore, ha ricordato come la piaga delle mine antiuomo sia inutile dal punto di vista militare e serve solo a vendicarsi contro la popolazione civile. “E’ stupido mettere le mine antiuomo – ha detto senza mezzi termini – militarmente non danno alcun vantaggio e creano solo un enorme fastidio, oltre che morti e feriti, quando poi ci sarà lo sminamento”. Attualmente, però, ed è questa la buona notizia, le operazioni di sminamento sono diventate molto più veloci. “Se nel 1999 la velocità era uno adesso è cento. E il costo è di 50 centesimi per metro quadrato. Servono pero – ha detto l’esperto – 20 o 30 anni anni, come minimo. Di solito il 50 per cento del territorio si smina in 5 anni, il 70 per cento in dieci anni. Notevole anche il costo in termini di vite umane. Una operazione come quella che ci attende in Ucraina, quando il conflitto finirà, costerà 200 vittime tra gli sminatori”. Insomma uno scenario terribile. Anche perché non si sa quante mine siano disseminate oggi nel mondo. “C’è chi parla di 20-30 milioni, ma sono stime. Quando abbiamo fatto la bonifica in Bosnia, a fronte dei 2-4 milioni di mine che avevamo stimato all’inizio, ne abbiamo trovate 250mila. E abbiamo sminato l’85 per cento del territorio”. Comunque, ha ripetuto l’ingegnere, “si tratta della più inutile delle armi.