Intervista a Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset, che ha curato l’autobiografia di papa Francesco “Life – La mia storia nella Storia”, in uscita il 19 marzo in Europa e in America: «Gliene hanno dette di ogni colore, a cominciare da quando fu stato mandato “in esilio” dai superiori a Cordoba, e lui ha sempre perdonato.Ha accettato di raccontarsi perché i ragazzi possano ascoltare le sue parole e fare in modo che i grandi errori del passato non si ripetano più»
S’intitola Life – La mia storia nella Storia (HarperCollins) l’autobiografia di papa Francesco scritta con Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset, che esce in Italia e in contemporanea in Europa e America il 19 marzo prossimo, solennità di San Giuseppe e undicesimo anniversario dell’inizio del pontificato. Il Corriere della Sera ha pubblicato in anteprima alcuni estratti mentre il libro si annuncia di grande impatto.
Fabio Marchese Ragona, biografo del Papa. Che effetto fa raccontare una persona come Jorge Mario Bergoglio?
«Sinceramente non penso di meritare l’appellativo di “biografo”, ho soltanto fatto un lavoro giornalistico che certamente racconta la vita di uno dei protagonisti assoluti del nostro tempo. Una delle poche voci che a livello planetario hanno ancora un peso. L’effetto è ovviamente dirompente nel mio cuore perché mai avrei mai immaginato di poter realizzare questo progetto con papa Francesco: con grande umiltà e disponibilità ha accettato di raccontarsi e di mettere a disposizione di tutti i suoi ricordi personali».
Come si è sviluppata l’idea di raccogliere dal Papa stesso la sua storia?
«Un giorno parlando del ruolo che gli anziani possono avere nella vita dei giovani gli ho detto: “Ma perché non raccontare la sua vita e fare in modo che arrivi a tante persone nel mondo?”. E ha accettato, dandomi fiducia, perché soprattutto i ragazzi possano ascoltare le sue parole e fare in modo che i grandi errori del passato non si ripetano più».
Si colgono passaggi importanti, vere e proprie conversioni nella vicenda di Bergoglio. C’è più linearità o più rottura nella storia di papa Francesco?
«Pensandoci un attimo proverei a dire rottura, perché nella sua vita ci sono stati enormi e improvvisi cambiamenti che lo hanno certamente trasformato. Ha chiuso tanti capitoli e ne ha aperti di nuovi. Rimando però sempre sé stesso. Una delle cose che mi ha colpito di più in effetti è che pur essendo stato eletto Papa è rimasto il prete di sempre e me ne sono accorto le volte che l’ho potuto incontrare».
Quali sono gli aspetti dominanti della sua personalità che emergono dalla biografia?
«Emerge chiaramente che ha una bontà infinita. Gliene hanno dette di ogni colore e lui ha sempre perdonato. Non parlo di adesso che è Papa e quindi più esposto pubblicamente. Penso ad esempio agli anni in cui era stato mandato “in esilio” dai superiori a Cordoba. Ma emerge anche la sua tenacia e la sua sicurezza nell’affrontare questioni complesse. Penso ad esempio agli anni del golpe in Argentina: ha dovuto gestire diverse situazioni molto pericolose che hanno messo a rischio anche la sua vita. Ma ha sempre pensato più agli altri che a sé stesso».
Cosa non ti aspettavi e invece è emerso lavorando con Papa Francesco alla stesura della sua biografia?
«Non immaginavo che potesse aprirmi così il suo cuore. Ma sapevamo entrambi che era per un fine più grande: raggiungere i giovani. Durante i nostri incontri mi ha sempre messo a mio agio e mi ha fatto sentire a casa pur essendo il Papa. Un’altra cosa che non mi aspettavo è stata la sua precisione nel seguire l’andamento del libro: ha controllato persino le virgole. Fino a poco prima della consegna abbiamo fatto delle modifiche e mi ha sempre detto: “Vai avanti, è un bel progetto!”».
Il magistero quotidiano di papa Francesco si serve di gesti e parole. Come si inserisce questo libro nella sua comunicazione? Cosa aggiunge o sottolinea del suo servizio come vescovo di Roma?
«Papa Francesco ci ha abituati a una rottura totale sul tema della comunicazione: mai un Papa ha rilasciato così tante interviste e mai un Papa aveva raccontato in modo così approfondito la sua vita, passando in rassegna gli eventi storici che hanno segnato l’umanità. Grazie a questo suo racconto, secondo me, si può comprendere in modo ancora più lampante il senso di molti suoi gesti e il perché abbia un’attenzione speciale per le fasce deboli. Tutto ebbe inizio nella sua Argentina e ha sempre continuato su quello stile di pastore tra le pecore, senza che l’elezione a Papa potesse scalfire questa sua vocazione di prete per il popolo».
Le energie del Papa sembrano non venire mai meno. Si sente ancora in lui una spinta verso il futuro? Quali sono le sue più grandi attese come uomo di fede e come Papa?
«Nel libro ribadisce che ci sono ancora tanti progetti da realizzare e che il suo lavoro non è ancora finito. Penso che consideri serenamente gli acciacchi e le limitazioni fisiche come un elemento che fa parte della sua esistenza. Non se ne preoccupa, insomma, più di tanto. E vedo una grande spinta verso il domani: sa bene che nel mondo o sarà pace o sarà morte, anche per questo insiste molto sul tema della fratellanza tra i popoli. E sa bene che la Chiesa del domani sarà come quella che aveva ipotizzato il giovane teologo Ratzinger dopo il Concilio: una Chiesa più piccola, popolare ma autentica, senza vizi e senza scandali».