Vicinanza, perché è triste avere preti “alla guida di una parrocchia che gridano a squarciagola” o “che vivono semplicemente di tre o quattro cose e non sanno dialogare”. Tenerezza, perché è brutto vedere sacerdoti “incapaci di accarezzare un bambino, di baciare un anziano” o che sono “rigidi” verso chi viene a chiedere perdono in confessione. E soprattutto preghiera, perché “un sacerdote che non prega finisce nella discarica”. Nel discorso a braccio rivolto ieri, ma diffuso oggi, a rettori e formatori dei Seminari dell’America Latina, Papa Francesco delinea il ritratto del bravo sacerdote, colui che è capace di “vicinanza, misericordia e tenerezza”, evidenziando pure limiti, pericoli ed eventuali tentazioni.
Dopo aver messo da parte il discorso scritto di 12 pagine, consegnandolo comunque ai presenti (“È una cosa pesante, lasciamola leggere con calma”), il Papa, parlando per tutto il tempo in spagnolo, dice di voler condividere “tre o quattro cose che ho nel cuore per la vostra vita sacerdotale, soprattutto per la vita dei formatori in seminario”.
Capaci di tenerezza
“Non possiamo avere sacerdoti alla guida di una parrocchia che gridano a squarciagola, che sovraccaricano tutto, che vivono semplicemente di tre o quattro cose e non sanno dialogare o che sono incapaci di accarezzare un bambino, di baciare un anziano o che semplicemente non vanno a ‘perdere tempo’ a parlare con i malati, che è una perdita di tempo, ma che sono nei piani parrocchiali e tutto il resto. No, non va bene”
Francesco poi si sofferma sul tema, sempre delicato e complesso, della formazione. Aspetto della vita sacerdotale che ha subito nel tempo diversi cambiamenti: “Ai miei tempi – rammenta – eravamo tutti inseriti in una serie, e la formazione avveniva per serie: ‘Oggi è questo, questo, questo…’. E colui che durò fino alla fine fu ordinato, mentre gli altri caddero in disgrazia o se ne andarono. A quel tempo uscivano così eccellenti sacerdoti, eccellenti sacerdoti. Oggi non è più così, perché è un’altra epoca, un’altra carne, un’altra materia prima. Ci sono altri giovani, altre preoccupazioni; quindi, bene, noi siamo lì per formare questi giovani”.
La tentazione della rigidità
È quindi importante “discernere bene”, durante tutta la formazione, su come accompagnare i ragazzi. “Se un formatore non ha la capacità di discernere, dovrebbe dire al suo vescovo: ‘Senti, mandami da un’altra parte, non sono adatto a questo’”, afferma il Pontefice. E il discernimento presuppone “silenzio”, “preghiera”, “accompagnamento”, presuppone “la capacità di soffrire” e presuppone di “non avere una risposta pronta”.
“Oggi le risposte preconfezionate non servono ai giovani; dobbiamo accompagnarli, con una dottrina chiara, certo, ma dobbiamo accompagnarli nelle diverse situazioni”.
Il calo numerico
Il Papa non manca di fare un cenno anche alla questione del calo numerico delle vocazioni: “È un problema di numero di seminaristi, non può esserci un seminario con quattro persone, no. ‘Non ne abbiamo più’. Riunitevi. Punto e a capo”.
Da qui, una ennesima (“È una mania che ho”, dice il Papa stesso) raccomandazione sulla prossimità. Che nel concreto si traduce nel parlare e agire con “lo stile di Dio”, quindi “la vicinanza”. “Questo deve essere contagioso, cioè il sacerdote, il seminarista, il prete deve essere ‘vicino’. Vicino a chi? Alle ragazze della parrocchia? E alcuni di loro lo sono, sono vicini, poi si sposano, va bene. Ma vicino a chi? Vicino come?”.
Dio è vicino con misericordia e con tenerezza. E queste tre cose devono essere realizzate nei ragazzi. Devono essere sacerdoti che siano uomini buoni, misericordiosi ma con tenerezza.
Per il Papa è una sofferenza, infatti, incontrare “persone che vengono a piangere perché si sono confessate e gli è stato detto di tutto. Se vai a confessarti perché hai fatto una, due, diecimila cose sbagliate… ringrazi Dio e le perdoni!”. E “se l’altra persona si vergogna” non bisogna bastonarla: “‘E non posso assolverti, non posso perché sei in peccato mortale, devo chiedere il permesso al vescovo…’. Questo accade, per favore! Il nostro popolo non può essere nelle mani di delinquenti! E un sacerdote che si comporta così è un delinquente, in ogni parola. Che piaccia o no”.
Pregare, senza arrendersi
Il Papa rivolge poi a tutti i preti una esortazione chiara: “Pregate”.
Un sacerdote che non prega finisce nella discarica. Forse persevererà fino alla vecchiaia, ma nella pattumiera, cioè nella mediocrità. Non intendo il peccato mortale, no, la mediocrità, che è peggio del peccato mortale. Perché il peccato mortale ti spaventa e vai subito a confessarti. La mediocrità è uno stile di vita, non troppo, non troppo… E si approfitta di tutto ciò che si può e così si persevera fino alla fine. È in questo che cade il sacerdote che non prega. Pregate, seriamente, e chiedete a chi vi accompagna spiritualmente di insegnarvi a pregare. Abbiate fiducia nel modo in cui pregate con il compagno spirituale che avete. Per favore, non arrendetevi a questo.
Non si prega perchè si deve pregare, ma “perché si deve sentire il bisogno di pregare”, sottolinea il Papa. “‘Più un sacerdote è impegnato, più deve perdere tempo nella preghiera”. In altre parole, serve una “vicinanza al Signore nella preghiera”. Oltre a questa, sono altre tre le vicinanze indicate dal Vescovo di Roma. Anzitutto quella al vescovo, vicinanza – sottolinea – non negoziabile
Non c’è Chiesa senza vescovo. “È un disgraziato”. Anche tu sei un disgraziato. Insomma, tra sfortunati si capiranno. Ma è tuo padre. E se non si ha il coraggio di dirgli le cose in faccia, non si dicono a qualcun altro, si tace. O vai da uomo dal tuo vescovo, o chiedi al Signore di risolvere il problema. Ma siate vicini a lui, cercatelo. E il vescovo deve essere vicino ai sacerdoti, sì.
Una vicinanza quindi da figli, non da leccapiedi che cercano di ottenere qualcosa. E questo implica “rispetto”. “Una delle cose che non dovete mai permettervi di fare – ammonisce il Papa – è quella di fare come i due figli di Noè: ridere a crepapelle con il padre ubriaco. Fate come il terzo: andate a coprirlo. È vero che a volte ci sono dei vescovi, Dio non voglia… Beh, cosa farai, figliolo? Nella vigna del Signore c’è di tutto. Copritelo, è vostro padre. Siate coraggiosi, parlategli, ma non usate la carne ferita e peccaminosa di quel vescovo per divertirvi nei commenti con gli altri o per giustificare le vostre cose. È tuo padre”.
La stessa vicinanza serve tra sacerdoti. Attenzione allora al pettegolezzo, “uno dei vizi più brutti che abbiamo noi chierici”, afferma Francesco. “Siamo pettegoli nel cuore! Ci facciamo la pelle dei nostri compagni…. sono i vostri fratelli! Se non avete i pantaloni per dire le cose in faccia, mangiatele, ma non le direte a qualcun altro come una vecchia pettegola!”. Sono “troppi” i pettegoli nella Chiesa: “Ce ne sono troppi ovunque. Sono troppi. Non creiamo altri pettegoli, perché questo rovina le nostre vite”, raccomanda il Pontefice. E conclude con un’ultima sollecitazione: “Vicinanza con il popolo di Dio”.
Mi fa molto male quando vedo sacerdoti così inamidati da aver dimenticato il popolo da cui sono stati presi. Non dimenticate i vostri collaboratori. E insegnare ai bambini ad amare il loro villaggio, da dove provengono… Non dimenticate l’odore del popolo di Dio