I santi «non provengono da un “mondo parallelo”; sono credenti che appartengono al popolo fedele di Dio e sono inseriti nella quotidianità». Lo ha detto Papa Francesco rivolgendosi ai partecipanti al convegno su «La santità oggi», ricevuti in udienza stamane, giovedì 6 ottobre, nella Sala Clementina.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di incontrarvi al termine del Convegno su “La santità oggi”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi. Saluto e ringrazio il Cardinale Marcello Semeraro, gli altri Superiori, gli Officiali, i Postulatori e i collaboratori. Saluto tutti voi, provenienti da diverse parti del mondo, che avete partecipato a queste giornate di studio e di riflessione, favorite dall’apporto di validi relatori, esponenti del mondo teologico, scientifico, culturale e mediatico.
Il tema scelto per il Convegno è in sintonia con l’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, che mira a «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (n. 2). Tale chiamata è nel cuore del Concilio Vaticano ii, che ha dedicato un intero capitolo della Lumen gentium alla vocazione universale alla santità e che afferma: «Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (n. 11). Anche oggi è importante scoprire la santità nel popolo santo di Dio: nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza. La testimonianza di una condotta cristiana virtuosa, vissuta nell’oggi da tanti discepoli del Signore, è per tutti noi un invito a rispondere personalmente alla chiama ad essere santi. Sono dei santi “della porta accanto”, che tutti conosciamo.
Accanto, o meglio, in mezzo a questa moltitudine di credenti, che ho definito «santi della porta accanto» (Gaudete et exsultate, 7), vi sono coloro che la Chiesa indica come modelli, intercessori e maestri. Si tratta dei Santi beatificati e canonizzati, i quali ricordano a tutti che vivere il Vangelo in pienezza è possibile ed è bello. La santità, infatti, non è un programma di sforzi e di rinunce, non è fare una “ginnastica spirituale”, no, è un’altra cosa; è anzitutto l’esperienza di essere amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia. Questo dono divino ci apre alla riconoscenza e ci consente di fare esperienza di una gioia grande, che non è l’emozione di un istante o un semplice ottimismo umano, ma la certezza di poter affrontare tutto con la grazia e l’audacia che provengono da Dio.
Senza questa gioia la fede si riduce a un esercizio opprimente e triste; ma non si diventa santi con il “muso lungo”: ci vuole un cuore gioioso e aperto alla speranza. Di questa santità ricca di buon umore ci dà l’esempio il neo-Beato Giovanni Paolo i. Per i ragazzi e i giovani è un modello di gioia cristiana anche il Beato Carlo Acutis. E sempre ci edifica nella sua paradossalità evangelica la “perfetta letizia” di San Francesco d’Assisi.
La santità germoglia dalla vita concreta delle comunità cristiane. I Santi non provengono da un “mondo parallelo”; sono credenti che appartengono al popolo fedele di Dio e sono inseriti nella quotidianità fatta di famiglia, studio, lavoro, vita sociale, economica e politica. In tutti questi contesti, il Santo o la Santa cammina e opera senza timori o preclusioni, adempiendo in ogni circostanza la volontà di Dio. È importante che ogni Chiesa particolare sia attenta a cogliere e valorizzare gli esempi di vita cristiana maturati all’interno del popolo di Dio, che da sempre ha un particolare “fiuto” per riconoscere questi modelli di santità, testimoni straordinari del Vangelo. Occorre, pertanto, tenere in giusta considerazione il consenso della gente attorno a queste figure cristianamente esemplari. I fedeli, infatti, sono dotati dalla grazia divina di un’innegabile percezione spirituale per individuare e riconoscere nell’esistenza concreta di alcuni battezzati l’esercizio eroico delle virtù cristiane. La fama sanctitatis non proviene primariamente dalla gerarchia ma dai fedeli. È il popolo di Dio, nelle sue diverse componenti, il protagonista della fama sanctitatis, cioè dell’opinione comune e diffusa tra i fedeli circa l’integrità di vita di una persona, percepita come testimone di Cristo e delle beatitudini evangeliche.
Tuttavia, è necessario verificare che tale fama di santità sia spontanea, stabile, perdurante e diffusa in una parte significativa della comunità cristiana. Essa infatti è genuina quando resiste ai cambiamenti del tempo, alle mode del momento, e genera sempre effetti salutari per tutti, come possiamo constatare nella pietà popolare.
Ai nostri giorni, l’accesso corretto ai mezzi di comunicazione può favorire la conoscenza del vissuto evangelico di un candidato alla beatificazione o alla canonizzazione. Tuttavia, nell’uso dei media digitali, in particolare delle reti sociali, ci può essere il rischio di forzature e mistificazioni dettate da interessi poco nobili. Occorre, quindi, un discernimento saggio e perspicace di tutti coloro che si occupano della qualità della fama di santità. D’altro canto, un elemento che comprova la fama sanctitatis o la fama martirii è sempre la fama signorum. Quando i fedeli sono convinti della santità di un cristiano, fanno ricorso — anche massiccio e appassionato — alla sua intercessione celeste; l’esaudimento della preghiera da parte di Dio rappresenta una conferma di tale convinzione.
Cari fratelli e sorelle, i Santi sono perle preziose; sono sempre vivi e attuali, non perdono mai valore, perché rappresentano un affascinante commento del Vangelo. La loro vita è come un catechismo per immagini, l’illustrazione della Buona Notizia che Gesù ha portato all’umanità: che Dio è nostro Padre e ama tutti con amore immenso e tenerezza infinita. San Bernardo diceva che, pensando ai Santi, si sentiva ardere «da grandi desideri» (Disc. 2; Opera Omnia Cisterc. 5, 364ss). Il loro esempio illumini le menti delle donne e degli uomini del nostro tempo, ravvivando la fede, animando la speranza e accendendo la carità, affinché ciascuno si senta attratto dalla bellezza del Vangelo e nessuno si smarrisca nelle nebbie del non senso e della disperazione.
Non voglio finire senza fare un cenno a una dimensione della santità alla quale ho dedicato un capitoletto nella Gaudete et exsultate: il senso dell’umorismo. Qualcuno diceva: “Un santo triste è un triste santo”. Saper godere della vita con senso dell’umorismo, perché prendere la parte della vita che fa ridere, questo alleggerisce l’anima. E c’è una preghiera che vi raccomando di pregare — io è da più di 40 anni che la prego tutti i giorni — la preghiera di San Thomas More: è curioso, lui sta chiedendo qualcosa per la santità ma incomincia dicendo: “Signore, dammi una buona digestione e qualcosa da digerire”. Va al concreto, ma prende proprio l’umorismo da lì. La preghiera è nella nota 101 di Gaudete et exsultate, lì c’è la preghiera, perché voi la possiate pregare.
Auspico che gli approfondimenti e le sollecitazioni del vostro convegno possano aiutare la Chiesa e la società a cogliere i segni di santità che il Signore non cessa di suscitare, a volte anche per le vie più impensate. Vi ringrazio per il vostro lavoro! Lo affido alla materna intercessione di Maria, Regina di tutti i Santi, e vi benedico di cuore. E poi, già vi ha coinvolto il Cardinale Semeraro a pregare per me; per questo non lo dico, lo ha detto lui! Grazie.
Nel giardino del Signore
Una «sosta» nella casa del Pontefice per la «carovana» di «esperti compagni di strada» che in questi giorni hanno animato il convegno di studio sulla «santità oggi», promosso dal Dicastero che si occupa delle cause di beatificazione e canonizzazione. A definire così l’udienza di stamattina è stato il cardinale prefetto Marcello Semeraro, nel saluto rivolto a Francesco all’inizio dell’incontro.
Riflettere sul significato e sul valore delle intenzioni contenute nella Gaudete et exsultate di Papa Bergoglio ed esaminare che cosa essa significa «per ciascuno di noi, considerati non soltanto la rispettiva condizione di vita, ma pure i vari compiti di servizio», è stata l’intenzione dei lavori all’Augustinianum, ha spiegato il porporato, sottolineando come «nel contesto del tema generale» siano stati messi «a fuoco due temi, che tradizionalmente sono esaminati nei processi di beatificazione dei servi di Dio e di canonizzazione dei beati: L’eroicità cristiana tra perennità e attualizzazione. Virtù, martirio e offerta della vita, per un verso e La fama di santità in epoca digitale, per l’altro».
Semeraro ha quindi rivelato «anche una seconda intenzione», ispiratagli dalla tradizione occidentale e da quella ascetica dell’Oriente: la prima con sant’Agostino che definiva la Chiesa «il giardino del Signore», e la seconda con il bizantino Giovanni Mosco che paragonò «il fiorire del monachesimo del deserto a un prato primaverile che offre, a chi lo guarda, lo spettacolo di tutti i tipi di fiori che sbocciano». Sulla stessa lunghezza d’onda, ha ricordato il prefetto, Benedetto xvi all’Angelus del 1° novembre 2008, quando disse che «visitando un vivaio botanico, si rimane stupefatti dinanzi alla varietà di piante e di fiori, e viene spontaneo pensare alla fantasia del Creatore che ha reso la terra un meraviglioso giardino. Analogo sentimento ci coglie quando consideriamo lo spettacolo della santità: il mondo ci appare come un “giardino”, dove lo Spirito di Dio ha suscitato con mirabile fantasia una moltitudine di santi e sante, di ogni età e condizione sociale, di ogni lingua, popolo e cultura».