«Sull’intervista del Papa in tv, in un contesto popolare inedito per un Pontefice, avevo delle perplessità, e invece mi ha letteralmente conquistato». Lo esclama Vito Mancuso, teologo e filosofo cattolico (peraltro considerato da una gran parte della galassia ecclesiale un «eretico»), dopo avere seguito lo storico colloquio di Fabio Fazio in collegamento con il Pontefice a «Che Tempo Che Fa» ieri sera su Rai 3. Dopo le prime domande e risposte Mancuso temeva che «ci si soffermasse “soltanto” sui temi “orizzontali”, seppure e scottanti e decisivi come migranti, guerra, il Mediterraneo visto come un “cimitero”, sfruttamento del pianeta. Poi il dialogo ha assunto anche una toccante e illuminante dimensione “verticale”».
Ci spiega?
«Francesco e Fazio sono “saliti” su argomenti come il senso del dolore, la sofferenza dei bambini, la preghiera, il problema del male, la fiducia, la libertà. E a quel punto hanno raggiunto un livello di completezza massima, come si può fare in televisione. Fabio Fazio è stato bravissimo. E papa Francesco ha rivelato tutta la sua spontaneità, sincerità e profondità umana. C’è stata riflessione e spinta evangelizzatrice, non spettacolarizzazione».
Qual è il passaggio che sceglie?
«È stato bellissimo quando Bergoglio ha parlato del senso dell’umorismo, legatissimo alla dimensione spirituale: essere spiritosi significa anche vivere la spiritualità. Una sottolineatura preziosissima per questi tempi cupi: oggi c’è, a mio avviso, un immenso bisogno di spiritualità, che non è mai senza il deserto, la solitudine, il raccoglimento, ma anche l’umorismo».
Secondo Lei qual è stato l’obiettivo comunicativo del Papa?
«Credo che lo spirito che abbia animato il Pontefice nell’accettare di essere ospite in un programma tv come quello condotto da Fazio si possa esprimere attraverso queste parole dell’apostolo Paolo: “Mi sono fatto tutto a tutti per salvare a ogni costo qualcuno” (1 Corinzi 9,22). In quel passo san Paolo dice che si è “fatto come Giudeo per i Giudei per guadagnare i Giudei” (versetto 20), “come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge” (21) e mostra come la sua intenzione evangelizzatrice l’abbia portato a dialogare con tutti incontrandoli laddove si trovano».
Lei pensa che la Chiesa debba seguire questa strada?
«Apparendo dopo la sua risurrezione, Gesù ordinò agli apostoli di arrivare “fino all’estremo limite della terra” e l’intera storia della Chiesa mostra alla perfezione di essere pervasa da slancio. Oggi la terra geograficamente parlando non ha più limiti estremi, è tutta perfettamente conosciuta, è tutta centro e periferia, si usa definirla “villaggio globale”, ma antropologicamente parlando esistono ancora limiti estremi e il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento è certamente uno di questi. Quindi è nell’ordine delle cose che la Chiesa vada anche in programmi “leggeri” come quello di Fazio, senza contare che questa atmosfera di leggerezza può diventare una di quelle virtù necessarie del nuovo millennio di cui parlava Italo Calvino nelle “Lezioni americane”, cioè il contrario della pesantezza e della seriosità».
Però nella galassia cattolica c’è chi ha disapprovato questa scelta di Bergoglio: perché?
«Si correva un pericolo. Qui non si trattava della Chiesa, si trattava del Papa. Se il desiderio di farsi tutto a tutti cancella la sua differenza rispetto a ogni altro apostolo o missionario, è la suprema carica della Chiesa cattolica che ne risente. Questo era il grande rischio. Ma Francesco è stato bravissimo a superarlo, e Fazio, con le sue domande e con il tono della voce, è stato attentissimo a non intaccare la sacralità del Santo Padre. E così Francesco in una trasmissione televisiva generalista ha saputo essere il Capo supremo della Chiesa cattolica e allo stesso tempo il Papa della gente, che sa parlare al cuore delle persone in modo straordinario, con un’empatia coinvolgente e incoraggiante».