La modifiche errate del “Padre Nostro” e quella del “Confiteor” in senso femminista ma che dimentica la realtà dell’unità della creazione. I miglioramenti nella Preghiera Eucaristica e nella formula precedente la Comunione e le altre modifiche. Complessivamente nel nuovo Messale italiano si nota una duplice tensione: la lodevole volontà di essere più fedeli al testo latino e quella errata di fare aggiunte attente alla facilità della recezione senza custodire la ricchezza dell’espressione liturgica.
La terza edizione italiana del Messale Romano è già in distribuzione. Approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana durante l’Assemblea Generale del 12-15 novembre 2018 e poi dal Santo Padre il 16 maggio 2019, il nuovo Messale sarà obbligatorio a partire dalla Pasqua del 2021.
Nei mesi scorsi il punto principalmente dibattuto è stata la nuova traduzione dell’espressione del Padre nostro et ne nos inducas in tentationem. Il nuovo Messale ha infatti recepito quella che già dal 2008 era presente nella Bibbia CEI, ossia «e non abbandonarci alla tentazione»; si è già avuto modo di notare (vedi qui) che si tratta di una traduzione sbagliata, che non conserva più il senso dell’originale testo liturgico latino (che è un calco del greco), ma si sbilancia in una interpretazione che di fatto tradisce l’originale.
Viene confermato anche il cambiamento dell’espressione «e pace in terra agli uomini di buona volontà». In questo caso però, non è stata accolta la traduzione della Bibbia CEI del 2008 («e pace in terra agli uomini che egli ama»), perché incompatibile con le melodie del canto; ad essa è perciò stata preferita la versione «e pace in terra agli uomini amati dal Signore». In entrambi i casi si tratta comunque di un allontanamento dal testo liturgico latino.
Altra novità, da far venire l’orticaria, è la doppia introduzione del termine «sorelle» da affiancare a «fratelli» nella formula penitenziale del Confiteor. In pratica, d’ora in avanti dovremo confessare «a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle» il nostro peccato e supplicare «gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle» di pregare per noi. Secondo l’analisi fatta da Goffredo Boselli per La Rivista del Clero Italiano 3(2020), la ragione della duplice aggiunta si troverebbe nella constatazione che «la normale assemblea liturgica di una comunità cristiana è infatti composta da uomini e donne, per questa ragione la formula di confessione non può costringere il fedele a fingere che le donne non siano presenti» (p. 207). Ma chissà dove sono tutti quei fedeli che, fino ad oggi, si sono sentiti costretti ad aderire a questa “finzione”…
Per Boselli sembra proprio che non se ne potesse fare a meno: «Si tratta di un vero e proprio principio di realtà alla quale la liturgia è anch’essa chiamata a fare ubbidienza». Come a dire per secoli e secoli l’utilizzo del solo «fratres» sia stata una forzatura ideologica. La verità che emerge è però esattamente l’opposto, ed è lo stesso Boselli a renderlo manifesto qualche riga dopo: «È oltremodo evidente che integrare l’equivalente femminile all’appellativo maschile […] non è solo fare ubbidienza al principio di realtà, ma anche un atto di inculturazione della liturgia in un contesto culturale e sociale dove l’uguaglianza uomo e donna è uno dei temi indubbiamente più attuali e sentiti». Detto in parole povere: la liturgia non si adegua alla realtà, ma al contesto ideologico.
La tradizione secolare aveva preferito, con il riferimento al solo appellativo maschile, aderire maggiormente al testo biblico, che non al contesto ideologico. Il primo racconto di Genesi (1, 27) sulla creazione dell’uomo afferma anzitutto la comune umanità (adam, in assonanza con adama, che significa “terra”), e poi la differenza sessuale. Tutti i testi neotestamentari che si riferiscono alla salvezza dell’uomo non hanno mai inteso costringere i lettori a far finta che la parte femminile fosse inesistente, quasi non fosse salvata, ma hanno molto semplicemente fatto riferimento alla comune umanità.
Nel nuovo Messale vi sono però anche delle modifiche interessanti. Anzitutto la triplice invocazione dell’atto penitenziale («Signore, pietà, etc.») viene riportata nell’originale greco. Dunque, nelle nostre chiese, torneremo a sentire l’invocazione Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison, come era stata conservata nell’Editio typica latina. Un’altra felice scelta di adesione all’originale latino riguarda la formula precedente la Comunione, che diventerà la seguente: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Oltre all’inversione tra la prima e la seconda proposizione, la «cena del Signore» viene finalmente sostituita con la «cena dell’Agnello», che è un evidente rinvio escatologico, con riferimento ad Apocalisse 19, 9. Un rimando che smorza la comprensione “protestante” della cena del Signore ed apre chiaramente all’unione tra la liturgia terrestre e quella celeste.
Altri miglioramenti riguardano le Preghiere Eucaristiche. Il più significativo riguarda l’inizio della seconda e della terza (ed anche di quella della Riconciliazione I). Finalmente è stato riportato anche nella versione italiana l’incipit «Vere sanctus es». Dunque, non avremo più «Padre veramente santo», ma «Veramente santo sei tu, o Padre».
La Preghiera II è quella più rimaneggiata. Oltre alla modifica precedente, sono stati fatti altri interventi significativi, decisamente più fedeli al testo latino. «Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito», diventa «Santifica questi doni con la rugiada (rore) del tuo Spirito»; «Egli, offrendosi liberamente alla sua passione» viene sostituito da «Egli, consegnandosi volontariamente, etc.». Anche in questo caso il miglioramento è reale, perché il verbo tradere, in riferimento ad un nemico, indica appunto l’atto di consegnarsi. Ancora, l’espressione «per averci ammessi alla tua presenza a compiere…» viene sostituita con «perché ci hai resi degni di stare (astare) alla tua presenza…».
Più discutibile è invece la modifica, nella Preghiera eucaristica III, dell’espressione «Egli faccia di noi un sacrificio perenne…», con «Lo Spirito Santo faccia di noi un’offerta (munus) perenne a te gradita». È vero che il termine latino munus indica l’offerta, però si tratta di un’offerta in un contesto sacrificale, come le offerte veterotestamentarie che venivano portate all’altare dei sacrifici, figura del sacrificio di Cristo e della Chiesa.
Un’altra modifica molto importante – e tanto attesa – riguarda la Preghiera eucaristica V «pro variis necessitatibus», una preghiera con quattro varianti molto verbose e poco liturgiche. Il Messale del 1983 riporta il testo del “Canone svizzero”, che esprime l’epiclesi in questa forma decisamente problematica: «Manda il tuo Spirito su questo pane e su questo vino, perché il tuo Figlio sia presente in mezzo a noi con il suo corpo ed il suo sangue». L’ambiguità della formulazione è evidente: non si domanda che il pane e il vino diventino, trasformandosi, il Corpo ed il Sangue del Signore, ma riduttivamente che il Signore si renda presente, espressione che potrebbe essere sottoscritta anche da chi non crede alla presenza sostanziale di Cristo nell’Eucaristia. La nuova traduzione diventa invece più corretta dal punto di vista teologico e si mette in sintonia con il testo latino (che è in realtà una retroversione): «Manda il tuo Spirito Santo a santificare il pane e il vino, perché questi doni diventino per noi il Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo».
Vi sono poi altre modifiche, soprattutto nella traduzione delle orazioni, che per ragioni di spazio non possono essere prese in considerazione. Complessivamente, le modifiche analizzate mostrano una duplice tensione: da un lato la lodevole ed apprezzata volontà di essere maggiormente fedeli al testo latino normativo; dall’altra quella di fare aggiunte ed apportare traduzioni/interpretazioni più attente alla facilità della recezione, erroneamente ritenuta come maggiormente pastorale, piuttosto che custodire la ricchezza dell’espressione liturgica.