«E tu, Moshé, perché preghi»? «Prego il Dio che è in me di darmi la forza di potergli fare delle vere domande» Elie Wiesel, La notte
«Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» (Mc 8,15). Questa è una parola (loghion) di Gesù. Non semplice da interpretare, e sulla quale sono state scritte molte pagine, a partire dai Padri della Chiesa. Lievito è una parola forte della Bibbia, basti pensare ai pani azzimi pasquali. È simbolo di vita, ma anche di contaminazione. Lievito è usato per discorso, insegnamento, ma soprattutto come principio di cambiamento del mondo. Nel Nuovo Testamento lo troviamo come sinonimo del Regno dei cieli (Mt 13,13). Il riferimento al lievito di Erode, dei farisei, dei “sadducei” (Mt 16,6) ha dunque a che fare con il tipo di regno che il Messia dovrebbe portare sulla terra. Al tempo di Gesù il messianismo aveva assunto una forte connotazione apocalittica, rafforzata dall’occupazione romana.
L’avvento del Messia per i farisei doveva essere accompagnato da eventi spettacolari, da segni che dovevano confermare l’arrivo imminente del nuovo regno: «Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: “Maestro, da te vogliamo vedere un segno”» (Mt 12,38). Ancora diverso è il regno politico anti-romano voluto da Erode. Gesù mette decisamente in guardia i suoi apostoli, sconvolti e travolti dai segni di Gesù, dal non abbracciare le teorie messianiche e apocalittiche: «Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti» (Mc 13,22). I Vangeli ci riportano dialoghi di Gesù con i discepoli sulla comprensione della sua identità (“voi chi dite che io sia?”), e le persone a lui più vicine erano dentro questo processo di scoperta identitaria. E così Gesù fa di tutto per non spettacolarizzare i suoi segni-miracoli, e appena si accorge che la gente si ferma al segno e fraintende il messaggio si defila o licenzia la folla.
Fin qui i Vangeli. Se la tentazione di seguire i lieviti sbagliati ha attraversato la prima comunità di Gesù, è probabile che sia un fenomeno che può ripetersi nelle comunità carismatiche generate dalla Chiesa; cioè quel “guardatevi dai lieviti dei farisei” vale per sempre. Non è infatti raro nelle esperienze carismatiche che (in genere) la prima fase produca forme di teorie messianiche e apocalittiche, letture diverse di quale sia la natura del movimento che sta iniziando, del senso dei “segni” che stanno accadendo. I grandi successi e gli eventi straordinari che accompagnano molti inizi carismatici generano varie interpretazioni del destino e compito di quel nuovo “profeta” e del suo movimento. L’inizio, infatti, è spesso straordinario, è un eskaton anticipato, e così scatta quasi inevitabilmente un’ebrezza spirituale-carismatica dove tutto sembra possibile. Si sperimenta una sorta di onnipotenza, si sognano scenari arditi, si prefigurano per se stessi destini apocalittici di salvezza universale. Rivivono il lievito politico di Erode (ci si sente investiti anche di un compito di cambiamento politico e sociale) e quello dei farisei, dove i segni vengono interpretati come segnali messianici dell’era nuova. Si sente prossima la fine dei tempi. Visti da fuori, questi fenomeni possono apparire deliri, ma per chi li vive sono quanto ci sia di più normale, e l’incomprensione dell’esterno aumenta l’auto-convinzione del compito messianico.
All’inizio (e non solo) dei movimenti carismatici proliferano così al loro interno molti “lieviti”. Ma, diversamente dalla frase di Marco dove i lieviti di Erode e dei farisei sono solo cattivi, nelle comunità carismatiche anche questi lieviti apocalittici possono contenere alcuni elementi positivi, somigliano al lievito “madre” del carisma, e per questo è molto facile confonderli. Se però prevalgono i lieviti apocalittici e spettacolari, questi diventano molto pericolosi, vere e proprie nevrosi che generano molti danni (economici, manipolazioni, abusi), anche quando tutto avviene in buona fede. Nelle comunità carismatiche c’è poi un altro elemento decisivo. I fondatori delle comunità,in genere – questi ragionamenti vanno sempre presi come tendenze non come teoremi – non interpretano la parte di Gesù che invita i discepoli a stare attenti agli altri lieviti. Non di rado sono come gli apostoli che “non comprendono”, e si fanno coinvolgere dagli stessi scenari apocalittici.
Nelle esperienze storiche concrete, il primo ingannato dal lievito sbagliato può essere il fondatore che, quando è onesto (e in genere lo è), impiega molto tempo a comprendere che il proprio “regno” non sta nelle cose grandi che ha visto accadere, che i segni sono solo e soltanto grazia, sono la stanza bellissima dell’hotel della luna di miele non la stanza di casa. Non comprende subito che il compimento del suo carisma non sta nel conquistare il mondo, ma nel diminuire, nel diventare piccolo gregge, nel seguire una carriera che culmina nel Golgota. Il fondatore è il primo spettatore dei segni che vede accadere attorno a sé. Ne rimane sbalordito e attonito, incantato dai suoi stessi incantesimi, guarito dalle sue stesse guarigioni. Così, i membri delle comunità carismatiche si ritrovano a essere le prime vittime dei lieviti dei farisei, perché non hanno nessuno a proteggerli ma tutti, concordi, a convincerli, tutti a convincersi l’un l’altra. Il fondatore sa che questi segni non sono opera sua, ma sa anche di aver ricevuto un dono-carisma senza il quale quei segni non ci sarebbero.
Nella prima fase è molto forte la coscienza di essere solo strumento di un Altrove, ma poi avviene un passaggio fondamentale, quasi sempre senza che nessuno lo voglia. Lo splendore e la forza dei segni straordinari finiscono per convincerlo che sebbene lui sia piccolo e semplice strumento, è il carisma a essere davvero straordinario, unico, la risposta definitiva a tutte le domande. È evidente che lodare e esaltare il carisma è una modo per esaltare e lodare il Datore del carisma; ma intanto col tempo questo “terzo” tra il fondatore e lo Spirito (il carisma) cresce e prende una sua vita propria. Il fondatore, poi, finisce poco alla volta per immedesimarsi con il carisma, grazie soprattutto ai suoi discepoli che gli attribuiscono tutte le prerogative del carisma, che lo fanno diventare la sua ipostasi, e loro le ipostasi dell’ipostasi. Tutti sanno all’inizio che il carisma è penultimo, e che servendo il carisma si serve il divino, ma intanto cresce, cresce e crescono carisma e fondatore. Le persone attorno al fondatore, vedendo gli stessi segni con stupore aumentato, svolgono quindi la funzione decisiva di confermarlo nella convinzione di aver ricevuto un compito di salvezza della Chiesa e del mondo, dando via ad un circuito di auto-convincimento mirabile e inscalfibile. Dimenticando tutti, in buona fede, che i fondatori – come i profeti biblici – sono esseri umani, quindi sbagliano, si auto-ingannano, non sempre sono buoni interpreti della “voce” che li abita, e hanno bisogno di tutta la vita e di molti incontri per imparare a riconoscerla tra le molti voci.
La compresenza dei lieviti è una fase inevitabile per molti carismi. Il problema di questa fase non si trova nel fondatore, ma nella capacità (in genere bassa) che hanno le generazioni successive di distinguere i vari tipi di lievito. E così il processo va avanti, finché (e se) un giorno qualcuno inizia ad accorgersi che il carisma ha preso il posto del Datore del carisma. In che senso? Si conoscono soltanto le parole della Scrittura mediate dal carisma, si pregano solo le preghiere del carisma, si conoscono soltanto le “storie della salvezza” raccontate dal carisma, si parla e si ama solo nei modi e nelle forme del carisma, si leggono solo i libri del carisma. Questi meccanismi, in perfetta buona fede, se non vengono disinnescati, sono tra le principali cause di estinzione delle comunità carismatiche dopo la scomparsa dei fondatori (a volte anche prima), soprattutto quando si ha a che fare con carismi molti ricchi.
C’è infine un aspetto decisivo. Se nei primi giorni di una comunità carismatica i vari lieviti convivono, allora tra le parole e gli atti degli inizi di un carisma ci sono anche parole immature non figlie del lievito madre, che – quando va bene – il tempo correggerà, attraverso incontri, delusioni, prove. Da qui una conseguenza importante: quando le generazioni successive tornano al Dna del carisma per tentare le necessarie riforme, è essenziale individuare il lievito buono, distinguendolo da quello dei farisei. Operazione però complicatissima, perché il lievito buono è sovrapposto agli altri lieviti, e i lieviti sono molto simili. Anche gli altri lieviti hanno generato vita e frutti, spesso sono state tappe intermedie necessarie per i frutti buoni che sono arrivati dopo. Col tempo si sono contaminati a vicenda, e bisogna evitare il rischio di prendere tutti i lieviti per buoni, ma anche l’altro rischio di buttar via tutti i lieviti incluso quello madre.
Nelle comunità post-fondatore è essenziale che la riflessione sullo zoccolo duro buono del carisma diventi esperienza plurale e antagonista, perché le idee sul lievito buono sono e devono essere diverse; e ai responsabili è richiesta una mitezza specifica per tenere viva questa tensione senza creare eresie e ortodossie, né agenzie preposte alla interpretazione autentica e unica del lievito buono. Perché quando manca questo dialogo pluralista interno e si afferma una sola lettura del passato, siamo già dentro una creazione ideologica, e quella unica lettura è sbagliata. La verità è sinfonica: i quattro Vangeli, Paolo e le altre lettere, per non parlare dei Vangeli apocrifi, avevano varie teorie messianico-apocalittiche su Gesù, e da qui la Chiesa ha trovato nel tempo il suo equilibro. Dalla storia dei carismi sappiamo che è molto probabile che il lievito madre buono non siano gli eventi spettacolari, le grandi prospettive apocalittiche, le visioni straordinarie, il terremoto, il fuoco, e che invece si trovi nel piccolo, nell’ordinario, nel semplice, nella “sottile voce di silenzio” di Elia.
Questo lungo discorso ha due conseguenze pratiche. Innanzitutto tra le parole dei fondatori si trovano fin dall’inizio tesi sbagliate, parziali, acerbe, e la maturità di una comunità sta nel riuscire ad ammettere che possano essere sbagliate (e non solo male interpretate). Questo è un esercizio decisivo che libera le comunità dal mito del fondatore perfetto che quasi sempre le blocca nella loro crescita generativa e impedisce loro di avvicinarsi all’umanità del fondatore velata dal suo mito. Sbagliare il rapporto con il patrimonio di un carisma significa compromettere la qualità e l’esistenza del futuro. Inoltre, tornare alle parole degli inizi di un carisma di per sé non è garanzia di arrivare al cuore del carisma stesso, perché i vari lieviti iniziano a svilupparsi molto presto. Le parole più importanti possono essere arrivate più tardi, quando gli eventi e la storia avevano fatto maturare il carisma. Le parole decisive di Gesù sono state le ultime. Il discernimento dei lieviti è il mestiere più importante delle comunità capaci di futuro.
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