Il cardinale e biblista Gianfranco Ravasi ci guida alla scoperta del carpentiere di Nazareth. Che non obbedì alle leggi del suo tempo per abbracciare la volontà divina
I testi biblici relativi a Giuseppe, lo sposo di Maria e padre legale di Gesù, sono piuttosto scarsi, a prima vista quasi lacunosi, e ciò spiega l’abbondanza di letteratura apocrifa sul personaggio, tra cui si segnala in particolare il Protovangelo di Giacomo. Nondimeno, scavando con attenzione nei dati neotestamentari, emerge una figura interessante, capace di interpellare anche il lettore odierno. L’evangelista Marco non parla mai di Giuseppe, ma si limita a riportare quanto dicono i nazareni, allorché affermano che Gesù è il figlio di Maria, e che fa il carpentiere. È invece da Matteo e da Luca che conosciamo il nome del padre legale di Gesù e sposo di Maria. Per quanto riguarda l’attività di Giuseppe, bisogna riferirsi a Matteo 13, 55, versetto in cui Gesù viene definito come “il figlio del carpentiere”. Il termine greco téktôn, che si traduce solitamente con “carpentiere”, corrisponde al latino faber e indica un artigiano che lavora il legno o la pietra. Concretamente si può pensare al lavoro del carraio, o del fabbricante di aratri e di strumenti per l’agricoltura, nonché a uno che tratta genericamente il legno, il classico falegname, o ancora al carpentiere che provvede alle strutture in legno necessarie all’edilizia; questa era in quei tempi assai fiorente nella regione della Galilea, a causa della costruzione di nuove città. Ciò significa che Gesù ha imparato il mestiere da Giuseppe e ne deve aver rilevato l’attività alla sua morte; risulta pertanto il ritratto di una condizione economica dignitosa della famiglia di Giuseppe, anche se non si può definire agiata. Tale condizione permette ad esempio, a Giuseppe e a Maria, di recarsi ogni anno in pellegrinaggio a Gerusalemme, affrontando le spese del viaggio.
COM’ERA COMPOSTA LA FAMIGLIA DI GIUSEPPE
Per quanto riguarda poi la composizione della famiglia di Giuseppe, la questione è difficilmente risolvibile alla luce dei dati a nostra disposizione, poiché si intreccia con il problema della presenza di “fratelli e sorelle” di Gesù, dei quali si parla più volte negli scritti neotestamentari e che non necessariamente vanno intesi come fratelli di sangue veri e propri, ma possono essere semplicemente cugini o anche parenti più lontani. Per vari interpreti si tratterebbe di fratellastri e sorellastre di Gesù, avuti da Giuseppe da un precedente matrimonio; ma la fonte di ciò è il più tardivo apocrifo noto come il Protovangelo di Giacomo e non uno scritto canonico. È Matteo che pone particolare attenzione alla figura dello sposo di Maria, offrendoci un ritratto squisito, indimenticabile, di Giuseppe. Infatti il primo Evangelista ci descrive come egli, dapprima, di fronte all’inattesa gravidanza della promessa sposa, vorrebbe uscire rispettosamente da una storia più grande di lui, senza opprimere con la sua presenza quella giovane donna che egli ama profondamente, e quel misterioso bambino che ella attende: “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”.
LA GIUSTIZIA DI SAN GIUSEPPE È ACCOGLIENZA DELLA VOLONTÀ DIVINA
Essendo tuttavia uomo “giusto” – perché disponibile a compiere gioiosamente e fedelmente la volontà divina – subito dopo, obbediente alla parola di Dio, consegna la propria vita a un progetto che lo trascende, con l’accettazione del comando di prendere con sé Maria. Ecco la giustizia di Giuseppe, che non è semplicemente quella derivante dall’osservanza scrupolosa dei comandamenti, ma la giustizia che è ricerca integrale della volontà divina, accolta con obbedienza piena. Attraverso questa obbedienza inizia per Giuseppe una vita nuova, con prospettive assolutamente insospettate, e con la scoperta di un senso più profondo del suo essere sposo e padre. Rimarrà così accanto alla sua donna quale sposo fedele, e a quel bimbo quale figura paterna positiva e responsabile. L’assunzione di questa responsabilità è espressa attraverso il fatto che è Giuseppe – secondo l’ordine angelico – a dare il nome di Gesù al figlio generato da Maria. L’atto del dare il nome significa che egli conferisce a quel bambino la sua identità sociale e che, proprio per questo, Gesù può essere riconosciuto quale vero discendente di Davide, così come esige la natura del Messia atteso. Questo bimbo è dunque consegnato alla responsabilità e all’amore di Giuseppe e, attraverso di lui, Dio consegna alla storia umana il più grande pegno della sua fedeltà, colui che è l’“Emmanuele”, il “Dio-con-noi”, profetizzato da Isaia. Certamente tutto ciò è avvolto nel mistero di Dio, al quale si accede solo con la fede. Ebbene, anche in questa eccelle Giuseppe, definito, proprio per la sua fede, con l’appellativo sobrio e grandioso, di “uomo giusto”.UOMO “DEI SOGNI”, OBBEDIENTE ALLA VOLONTÀ DI DIO E CAPACE DI PRENDERSI CURA
Nel Vangelo matteano dell’infanzia, ogni volta che entra in gioco Giuseppe, la sua figura è caratterizzata da tre aspetti tra loro intrecciati: Giuseppe è l’uomo dei sogni, è l’obbediente che accoglie integralmente la volontà di Dio, è l’uomo che sa “prendere con sé”, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli. Attraverso il tema della visione angelica ricevuta nel sogno, l’Evangelista vuole alludere, con un linguaggio tratto dall’Antico Testamento (si pensi qui ai sogni dell’omonimo Giuseppe, nei racconti della Genesi), al mistero dell’irruzione del divino nella vita umana. Ebbene, Giuseppe è l’uomo che accoglie il sogno di Dio, perché in qualche modo sa egli stesso sognare una storia in cui Dio è coinvolto totalmente per la salvezza delle sue creature, così come suggerisce anche il nome di Salvatore-Gesù dato a quel bambino. Agli ordini angelici Giuseppe obbedisce sempre prontamente e ogni volta ricorre un’espressione assai suggestiva circa la sua pronta risposta: “prese con sé”. La prima volta è al termine dell’annunciazione di cui egli è il destinatario: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Successivamente, il “prendere con sé” riguarda l’ordine angelico circa il bambino e la madre da far riparare in Egitto; infine la stessa espressione ricorre quando si tratta di ritornare dall’Egitto. In tutto ciò emerge il ritratto di Giuseppe come di un uomo che ha scoperto l’amore divino per questa umanità, e che ha esperimentato la serietà della decisione di Dio di essere l’“Emmanuele”. È da questa evidenza intima che procede la sua forza di prendersi cura e di accogliere con sé Maria e il bambino.
CUSTODISCE E SI PRENDE CURA DI GESÙ ANCHE NEL PERICOLO
Ma c’è un particolare che risulta davvero intrigante: quando l’angelo comanda a Giuseppe di rifugiarsi in Egitto per sottrarsi alla minaccia di Erode, il testo evangelico annota che Giuseppe “destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte, e fuggì in Egitto”. Questa “notte” non è soltanto un’indicazione cronologica delle circostanze della fuga precipitosa, ma segnala la prontezza dell’obbedienza di Giuseppe, e assume lo spessore simbolico del tema della notte nei testi biblici. In questo senso Giuseppe emerge davvero come padre di Gesù, non nell’aspetto biologico, ma nel significato più profondo: il padre è infatti colui che custodisce, protegge, apre il cammino. Il genitore è la figura umana che illustra al meglio quello che significa il prendersi cura da parte di Dio della nostra fragilità. Ebbene, Giuseppe è il padre che non soltanto custodisce e provvede al bambino quando è giorno, quando tutto è facile, scontato e solare; egli lo prende con sé nella notte, quando le difficoltà sembrano avere il sopravvento, ed espandersi le tenebre del dubbio, dell’agguato e del terrore. Alla dolcezza della madre e alla debolezza del bambino, egli accompagna la fermezza della sua presenza e dedizione. Giuseppe sa muoversi anche nella notte, mentre tiene fermo il ricordo del giorno, quel giorno che egli ha conosciuto vivendo una vita nella giustizia, cioè in un atteggiamento orante e obbediente davanti a Dio. Giuseppe non ha giocato al ribasso, a tirarsi indietro, a puntare sulle proprie comodità e sicurezze, ma ha preso con sé il bambino e Maria, diventando così per loro come un simbolo concreto, visibile, di quel Padre buono, di quel Dio che ha cura di tutti, di cui Gesù parlerà nell’Evangelo.NON È UN DETENTORE DEL POTERE
Nel Vangelo di Luca la maternità verginale di Maria è chiaramente indicata nel contesto dell’annunciazione alla Vergine di Nazaret e non si dice nulla a proposito dell’atteggiamento di Giuseppe di fronte all’avvenimento misterioso che lo coinvolge. Semplicemente, nel prosieguo del racconto, in occasione del viaggio a Betlemme durante il quale Gesù viene alla luce, si mostra come Giuseppe abbia preso con sé Maria, sua sposa, assumendo dunque il carico della situazione creatasi. I successivi racconti dell’infanzia vedono Giuseppe al fianco di Maria, sposo solidale con lei, strettamente unito a lei in tutta la vicenda, dalla nascita alla circoncisione del bambino, fino alla presentazione al santuario di Gerusalemme e al misterioso episodio dello smarrimento e ritrovamento di Gesù dodicenne fra i dottori del tempio. La presenza di Giuseppe a fianco di Maria suggerisce la realtà di una coppia realmente affiatata, tutta protesa alla costruzione di una famiglia al cui centro sta la ricerca della volontà di Dio e dell’obbedienza alla sua legge. Giuseppe è un vero capofamiglia, che non vuole essere il detentore del potere, ma aiutare i membri della famiglia a lui affidata a compiere la propria vocazione. Per questo Luca, che ben conosce l’origine trascendente del Figlio di Maria, non esita a designare per due volte Giuseppe come “padre di Gesù”.
LA MORTE ATTORNIATO DAI FAMILIARI
Gli ultimi fatti evangelici che vedono coinvolto Giuseppe sono quelli riguardanti lo smarrimento di Gesù al tempio e il ritorno alla “normalità” della vita di Nazaret. Il primo episodio è ambientato in un pellegrinaggio a Gerusalemme, per la Pasqua. Giuseppe è coinvolto in un’inaspettata crisi familiare allorché, con Maria, si rende conto che il ragazzo non è nella carovana che sta tornando in Galilea. È una crisi familiare che scoppia in tutta la sua gravità e che chiede di essere ricomposta, consentendo ai membri di uscirne più cresciuti, più maturi. Da una parte vi è l’adolescente Gesù, che si stacca dai suoi genitori, dall’altra costoro che non hanno ancora fatto i conti con tale distacco, pur essendo Maria e Giuseppe! L’Evangelista non dice che la cosa è stata semplice, né per Giuseppe né per Maria; per questo mostra i tre giorni della loro ricerca angosciata (il termine greco designa anche una pena infinita!), finché non ritrovano Gesù al tempio. In qualche modo Giuseppe, con la sposa Maria, prefigura la comunità dei discepoli che dovrà vivere i tre giorni del mistero pasquale, nell’attesa di una luce, di una parola che le dia speranza e superi la notte tremenda che si è abbattuta sul loro discepolato.Infine la narrazione lucana porta l’attenzione del lettore sugli anni segreti di Gesù a Nazaret, là dove vive nella sottomissione ai suoi genitori. Qui a Nazaret Gesù entra nell’età adulta e riceve un’educazione nella quale il contributo di Giuseppe deve essere stato senza dubbio molto rilevante. Anzitutto Giuseppe trasmette a Gesù le conoscenze del proprio mestiere, ma lo introduce pure nella conoscenza della Tôrah, perché nel giudaismo l’educazione religiosa dei figli maschi è eminentemente affidata alla figura paterna. Peraltro è il padre che celebra le principali feste religiose che hanno sempre un’importante componente familiare; sempre Giuseppe, come gli altri padri di famiglia, deve avere condotto Gesù in sinagoga ogni sabato, facendogli acquisire quell’abitudine tipica del giudeo osservante, così come annota il Vangelo di Luca. Sempre a Nazaret scompare la figura evangelica di Giuseppe, che infatti non appare più durante la vita pubblica di Gesù. Da ciò la tradizione deduce una morte di Giuseppe circondato dalla presenza dei suoi, in particolare della sposa Maria e di Gesù. Ed è per questo che egli diventa la figura spirituale del protettore del moribondo cristiano, che affronta il trapasso con tutti i conforti della fede. Testimonia tale attenzione alla figura di Giuseppe – e in particolare alla sua infermità e morte – uno scritto apocrifo cristiano del V secolo, noto come Storia di Giuseppe il falegname.