Descrive le sue dense e mai fugaci visite al Monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano, nel cuore della città leonina alle spalle del cupolone di San Pietro, per incontrare il suo «amico papa Benedetto» come un «momento di grazia in cui ho potuto sperimentare la costante crescita nella preghiera e nella contemplazione di un uomo pronto all’incontro feriale e festivo con il suo Signore».
È la prima istantanea che affiora dalla mente del teologo e scrittore, oggi 75enne, Elio Guerriero nel rievocare la sua amicizia con Benedetto XVI a un anno dalla sua scomparsa. Lo studioso è stato traduttore dal 1985 delle opere dell’allora cardinale Ratzinger e poi suo biografo di un saggio diventato oggi un longseller, «Servitore di Dio e dell’umanità». Un legame quello intercorso tra Ratzinger e Guerriero nato soprattutto durante gli anni della fondazione e poi dello sviluppo editoriale della rivista di teologia internazionale Communio nel 1972. Guerriero ricorda i tanti gesti di affetto del papa teologo nei suoi confronti: «Ho ancora nella memoria le lettere dedicate ai nostri progetti editoriali dedicati ai suoi scritti».
O aggiunge ancora un altro particolare su questa amicizia singolare con il successore di Pietro: «Mi ha sempre impressionato come accettasse anche le critiche sugli anni del suo pontificato (2005-2013) e vivesse questa osservazioni come “un servizio, comunque, alla Chiesa universale”».
E annota un dettaglio singolare: «Mi chiese che il libro uscisse dopo la sua morte perché era rimasto amareggiato da come nella sua amata Germania, in particolare la natìa Baviera, fosse stata ingaggiata una campagna diffamatoria nei suoi confronti per come aveva gestito quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga dal 1978 al 1982 alcuni presunti casi di abusi sessuali. Percepiva queste insinuazioni e accuse, risultate subito infondate come una ferita lacerante. A rattristarlo era soprattutto l’idea che si fosse alimentata l’immagine nell’opinione pubblica di essere stato un vescovo incapace di governare una grande diocesi e di non aver denunciato anzi quasi insabbiato alcuni reati gravi compiuti dai suoi preti. L’amarezza nasceva sia dalla fragilità della sua età, essere un ultranovantenne, e proprio per questo di non potersi difendere come voleva. L’altro fattore di dispiacere era di sapere, in coscienza di essere stato uno dei Papi più duri e intransigenti nei suoi pronunciamenti contro la piaga degli abusi sessuali e della pedofilia perpetrati dal clero. Da qui sorse il desiderio che questo suo ultimo libro fosse veramente un lascito spirituale da consegnare ai posteri in serenità».
E sottolinea a questo proposito: «Con questo suo ultimo scritto papa Benedetto ha voluto soprattutto mostrarci un’altra verità: quella di un “Dio che viene a noi e si mette in moto per incontrarci” proprio come ci testimonia in fondo la più importante costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Rivelazione divina la Dei Verbum».
Dentro questo libro testamento a giudizio del suo più autorevole biografo assieme al tedesco Peter Seewald si trova e si annida l’essenza del pensiero sapienziale di Ratzinger e del suo amore sconfinato per la Chiesa. «Si scopre dentro a queste pagine molto delle sue passioni dalla liturgia al suo culto per la musica sacra a quanto sia stato importante nella sua vita – osserva ancora – il valore del sacerdozio per sempre».
La mente di Guerriero corre al 29 giugno del 2021 quando ebbe il privilegio di partecipare al monastero Mater Ecclesiae alle celebrazioni per il 70° di ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger: «La cosa che più mi impressionò fu la gioia di quest’uomo, che a 70 anni dalla sua prima Messa, avvenuta nel giugno del 1951, conservava una gratitudine per la scelta vocazionale fatta. In quel frangente mi accennò a quanto fosse importante per lui la preghiera di ringraziamento. Mi recitò in latino questa frase: nos dignos habuisti astare coram te. Percepiva nella recita di questa antica orazione soprattutto per chi è sacerdote come un’occasione privilegiata per sentirsi vicino al Signore. Era convinto infatti che la giusta traduzione di quell’astare coram te non fosse “stare in piedi” bensì “stare alla presenza di Dio”».
Un anniversario quello di oggi che ci ricorda non solo la morte ma anche la salita al cielo di Benedetto XVI: il suo definitivo dies natalis. «Credo di sì – è la riflessione finale – nei suoi anni da pontefice emerito ho sempre intravisto in lui un uomo felice e sereno per la sua rinuncia al ministero petrino. Credo che immaginasse di spegnersi e di morire, qualche anno dopo a causa anche della sua salute fragile e cagionevole. Non aveva ipotizzato che la sua vita da Pontefice emerito si prolungasse quasi di dieci anni dal giorno della sua rinuncia al munus petrino. In questo ho intravisto, a mio giudizio, un segno del Signore che gli ha chiesto di prolungare la sua esistenza terrena per testimoniare nella preghiera e nel silenzio il suo amore a Cristo e alla sua Chiesa».