L’usura è salita del 22 per cento, a causa della lentezza delle istituzioni. Papa Francesco ha paragonato gli usurai a serpenti che strangolano le vittime, o a Giuda che portava via dalla borsa quel poco che c’era per i poveri. La colpa è anche di chi può intervenire in favore delle famiglie in difficoltà e volge lo sguardo, e invece di contrastare la speculazione finanziaria e il dio denaro, utilizza la situazione per arricchirsi di più e sostiene di fare assistenza, con interventi di facciata, per rendere credibile un sistema avido e iniquo. Il Papa è contemporaneo, “presente al presente”. Non usa parole edulcorate per mascherare situazioni di ingiustizia. Non dà sponda ai poteri forti, alle élites.
Senza voler azzardare analisi e conclusioni ancora premature, possiamo tuttavia cogliere alcuni segnali della situazione italiana. In questa emergenza è venuta alla luce la coesione delle piccole comunità, il “popolo vero”. A livello urbano la solidarietà nei condomini e nelle parrocchie; a livello dei piccoli paesi una rete di cura e di bene che sta sostenendo le famiglie in difficoltà. Sono gruppi spontanei che cercano di risolvere da soli i problemi, senza aspettarsi troppo dall’alto. Da sempre siamo fautori delle piccole comunità, anche come misura del rinnovamento ecclesiale. Ancora una volta affiorano le caratteristiche del popolo: sapienza, prudenza, pazienza, ricerca del bene di tutti. La vera speranza sta nel popolo, perché è l’unico che cerca il bene di tutti.
Ultimamente si è tornati a parlare, anche a livello ecclesiale, dei movimenti, come una delle espressioni popolari. Papa Francesco ne favorisce molto la crescita e la formazione: basta leggere i tre discorsi tenuti agli incontri dei movimenti popolari in Vaticano e in Bolivia, negli anni 2014-2015-2016, incentrati sui tre temi fondamentali: Terra, Lavoro e Casa (le tre T in spagnolo: Tierra, Trabajo, Techo). È interessante considerare che per il Papa i movimenti ecclesiali hanno molto da imparare dai movimenti popolari, dai quali dovrebbero prendere le caratteristiche migliori: “seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia; … ‘poeti sociali’” (Discorso 2016). L’aspetto specifico dei movimenti cattolici è quello di saper cogliere nel popolo non una “classe” che si oppone ad altre, ma l’unità di profondi vincoli culturali capace di essere protagonista, a livello sociale, politico ed ecclesiale. A questo si unisce il compito di stare vicino al popolo in tempo di crisi per “consolarlo” (Is 40,1).
Queste tematiche sembravano apparentemente lontane dalla realtà italiana, ma l’emergenza del Covid-19 ha fatto venire fuori che questi problemi, specialmente il lavoro, ci riguardano da vicino. Proprio qui in Italia rischiamo di scivolare verso una disuguaglianza ed esclusione sociale silenziosa. La Chiesa italiana deve ascoltare questo grido e unirsi ad esso, camminare insieme al popolo che si trova nel bisogno: la tutela, promozione e garanzia dei suoi diritti costruisce il vero tessuto sociale.
Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa ha visto la nascita di numerosi movimenti ecclesiali in Europa ed in America Latina. Essi sono stati una risposta di laici al desiderio di partecipazione, di creare autentiche comunità nella Chiesa, superando il livello istituzionale e formale. In questo senso possiamo attribuire anche a loro la caratteristica di “popolari”. All’inizio hanno coinvolto tante persone, specialmente i giovani, da essere definiti “espressione della nuova primavera della Chiesa suscitata dalla Spirito con il Concilio Vaticano II”. Il loro coinvolgimento nelle parrocchie auspicato soprattutto da Giovanni Paolo II (Redemptoris missio 72) doveva essere la prova di sentirsi parte del popolo di Dio. Quel papa aveva fatto esperienza della forza del popolo di Dio. Di fatto in molti casi non è avvenuto, anzi le loro attività si sovrapponevano alla vita della comunità parrocchiale, e le loro strutture si fortificavano lontano differenziandosi. Oggi, molti lamentano la mancanza del ricambio generazionale. La storia della maggioranza dei movimenti ecclesiali ha mostrato due limiti, che li hanno scollati proprio dal popolo: la pretesa di fissare gli scopi del cammino (la figura dei fondatori non sempre limpida con le norme per controllare il carisma e i patrimoni accumulati) e la selezione dei partecipanti e dei beneficiati, sul modello degli ordini religiosi. Si sono trasformati in élites, con meccanismi clericali.
La stessa sorte sembra abbia segnato la vita dei movimenti politici e civili italiani e non solo. Nati in contatto con il popolo, che resta sempre in attesa di segnali, ed è disposto ad infiammarsi e a dare fiducia, si sono purtroppo immediatamente trasformati in élites che cercano di raggiungere propri obiettivi a livello di politica nazionale e internazionale, per acquisire e consolidare posizioni istituzionali. Il popolo che aveva dato ampio consenso, essendo autonomo, si è prontamente ritirato di fronte alla delusione di chi non cerca il bene di tutti. Anche il loro linguaggio è mutato e usano “eufemismi” per camuffare i problemi reali della gente. A questi gruppi non resta che passare dal consenso popolare al consolidamento di un bacino elettorale, ottenuto con il compromesso.
Non di rado gli uomini di chiesa precedono quelli del mondo. Alla crisi dei movimenti ecclesiali hanno risposto con la creazione di “centri”, nuova forma aperta a tutti e non selettiva che tende a ricercare il contatto vero con il popolo per accompagnarlo e consolarlo. Uno per tutti il “Centro Hurtado” delle Vele di Scampia a Napoli dove si sperimenta l’incontro fra azione religiosa, formazione culturale e promozione sociale. Il termine “centro” è piaciuto, ed altri l’hanno utilizzato per formare in realtà nuove élites ecclesiali e sociali. Non ci sorprenderebbe di vedere presto, per esempio nelle prossime elezioni politiche o amministrative, le diciture “Centro” o simili per catturare il consenso popolare.
Ci siamo interrogati su come si potrebbero evitare nuove delusioni. È evidente che chi si avvicina troppo presto al potere, ne viene fagocitato e assorbito, se non ha una lunga storia di vera condivisione di vita con il popolo. È il tempo a consolidare la bontà delle intenzioni e delle strade intraprese. Il tempo che si trascorre nelle piccole comunità è quello che genera processi e non si preoccupa di occupare spazi, perché esse sono una grande difesa contro la forza attrattiva delle élites, la tentazione del denaro e del potere. Le uniche vere comunità sono quelle reali, dove non c’è selezione: la parrocchia, il condominio, il quartiere. Lì ci sono i numeri per fare “comunione”. Di fronte ad una grande folla da sfamare, ai discepoli spaventati che vorrebbero congedare tutti Gesù dice: “«Voi stessi dategli da mangiare». A quel punto, nel momento di mangiare, la folla non è più anonima e diventa per i discepoli un calcolo: «Circa cinque volte mille uomini». Gesù dice: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». In realtà il Signore utilizza un’espressione come a dire «per tavolata» di cinquanta persone (klisias, in greco, è la tavola per un gruppo di convitati). Tavoli di cinquanta ospiti, in mezzo ai quali si mette cibo, dal quale tutti vanno a servirsi. Questa tavola è già un’immagine del Regno”[1].
C’è bisogno di un lungo impegno della Chiesa e di tanti operatori sociali e politici cristiani. I movimenti per essere credibili e reali, non devono essere un’ennesima sigla dall’alto, ma per lungo tempo rimanere a livello locale a prendersi cura delle piccole comunità. Non passare in pochi e in fretta alle istituzioni senza avere formato gli anticorpi contro il virus del potere e delle lusinghe. Importa anche il numero. Bisogna che in tanti acquisiscano gli anticorpi affinché i singoli non vengano fagocitati e assorbiti dalle élites, nei meccanismi istituzionali. Per non essere “una democrazia di facciata” che scarta, ma per essere cristiani, capaci di alzare la voce e di agire contro la povertà, la disoccupazione, la disuguaglianza.
* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia.
[1] Omelia di J.M. BERGOGLIO nella Solennità del Corpus Domini, Buenos Aires, 12 giugno 2004.