Nessuno può sperare di giungere al silenzio eloquente colmo del sussurro del Signore senza attraversare le aspre e desolate lande dell’assenza o, come direbbe San Giovanni della Croce, senza sperimentare la «notte oscura».
«Vedo buio»; espressione non desueta intesa subito e senza incertezze in senso metaforico. Essa indica una prospettiva pessimistica rivolta al domani. Diverso il caso di una frase come «ascoltare la voce del silenzio». Infatti, ora, la prima interpretazione la accredita di una reale dimensione uditiva. A differenza delle tenebre, l’assenza di suoni non è connotata solo per via di privazione; essa è una presenza: il silenzio ha una voce ed è un linguaggio. Proprio per questo esso esige di essere compreso, altrimenti non comunica nulla.
È vano contrastare l’eccesso di suoni tipico della nostra vita quotidiana compiendo l’elogio del silenzio. Non per nulla quasi tutte le persone che auspicano un clima più silenzioso, si impegnano in effetti a riempire di spessi sottofondi sonori ogni interstizio della loro giornata. L’unico modo per contrapporsi efficacemente al rumore è tessere lodi del «linguaggio del silenzio». Una prospettiva definitiva per pura negazione del rumore rivela una sottile parentela con il suo opposto: la creazione di massicci fondali sonori. Le musiche, diffuse nei bar, nelle botteghe artigiane, negli studi dentistici, nelle librerie, nelle case private, ecc. si pongono tutte sotto la soglia del linguaggio: le si percepisce, ma non le si ascolta. La lingua del silenzio è aperta su molti fronti: può essere dolce, ma può rivelarsi anche molto dura; ed è per questo che si tende a sfuggirla.
(…) nell’intera Bibbia nulla come l’esperienza del silenzio avuta da Elia, prima sul Carmelo poi sull’Oreb, pone in risalto la profonda ambiguità di tale realtà.
Sul monte Carmelo il profeta Elia è impegnato in una sfida mortale con i sacerdoti di Baal; per dirimerla occorre che un fuoco piombi dal cielo e compia un silente sacrificio delle vittime (Cfr 1Re 18,20-40). In quella circostanza infatti, vi furono molte grida, ma nessuna voce. Le urla degli esaltati profeti di Baal che invocavano il loro Dio non fanno altro che porre in evidenza il silenzio della non risposta: «Gridarono a gran voce… passato mezzogiorno quelli ancora agivano da invasati ed era venuto il momento in cui si è soliti offrire i sacrifici. E non c’era voce, non c’era risposta, non c’era ascolto attento». Gli strepiti non spezzano il cerchio del silenzio pesante della non comunicazione. Quello dei profeti di Baal è davvero un grido nel silenzio. Anche la risposta del Dio d’Israele invocata da Elia è però silente, e durissima: il fuoco cade dal cielo e tutto brucia. Si tratta di una fiamma che annienta tanto i sacrifici quanto le false pretese dei sacerdoti di Baal destinati a venir spietatamente per mano di Elia nel torrente Kison.
Dopo questa scena terribile, Elia fugge nel deserto in preda a un acuto scoramento. Il suo zelo ardente, che vuole distruggere sulla terra ogni forma di empietà, va infatti incontro, nonostante il muto trionfo sugli avversari appena conseguito, al fallimento: «Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita» (cfr. 1Re 19,1-18). Quando fu raggiunto dalla voce del Signore nel deserto, Elia era un uomo «in crisi d’identità». Per incontrare davvero il suo Signore doveva imparare a deporre, per esprimerci con Bonhoeffer, la sua qualità di «uomo religioso» (1Re 19,1-18).
«Signore, mio Dio, non ti allontani da chi non si allontana da te: come possono dire che tu sei assente?» (Giovanni della Croce). Elia che fuggiva nel deserto non aveva voltato le spalle a Dio, di lui aveva, però, un ‘immagine troppo evidente e potente; doveva ancora imparare ad ascoltarlo in un luogo non teofanico. All’Oreb Dio non era né nel vento impetuoso, né nel terremoto né nel fuoco. Nulla si comprende di queste figure se non si presta attenzione al fatto che quelle erano le tipiche figure delle precedenti manifestazioni del Dio d’Israele (cfr. ad esempio Es 19,18; Dt 5,22). Anzi si avrebbe voglia di aggiungere che fuoco in cui Dio non c’era fu anche quello violento sceso poco prima sull’olocausto. La vera presenza del Signore d’Israele non è lì, ma «nella voce di silenzio sottile (qol demanà dappà)» che venne dopo il fuoco. Anche Elia dovette apprendere a udire il linguaggio del silenzio.
Per giungere ai luoghi silenziosi in cui il Signore continua a esserci occorre passare attraverso le manifestazioni fragorose in cui Dio non c’è, o non c’è più. Nessuno può sperare di giungere al silenzio eloquente colmo del sussurro del Signore senza attraversare le aspre e desolate lande dell’assenza o, come direbbe San Giovanni della Croce, senza sperimentare la «notte oscura».