Gli effetti economici e civili più importanti della Controriforma furono quelli imprevisti e collaterali. Il primo è quello più noto. La lotta all’usura ritornò un tema scottante. Ogni contratto poteva essere implicitamente usurario. Allora occuparsi di economia e di commerci divenne un mestiere pericoloso; meglio dedicarsi alle professioni liberali e soprattutto all’agricoltura, visto che sulle rendite e usure agricole (i “censi”) l’atteggiamento della Chiesa era molto più morbido. Da qui la progressiva distanza che si venne a creare tra il ceto mercantile e la Chiesa cattolica. Accadde con la mercatura qualcosa di simile a quanto stava accadendo con la teologia: visto che sotto le Alpi occuparsi di teologia poteva essere rischioso e persino condurre al rogo, dopo la Riforma gli studiosi italiani e latini si dedicarono ad altro (alla musica, all’arte, alla letteratura, al teatro), e la teologia moderna divenne faccenda prevalentemente protestante. Per averne un’idea, basta dare uno sguardo al più diffuso Manuale per confessori dell’abate Gaume: «Al mercante dimandategli se ha ritenuto alcuna parte del prezzo, incluso il caso in cui il padrone avesse determinato il prezzo…». E poi segue un lunghissimo elenco di casi speciali da verificare con cura durante la confessione (1852, p.163).
Chi conosce gli imprenditori sa bene che se c’è qualcosa che questa categoria di persone detesta è l’intromissione esterna nelle scelte del “foro interno” della propria impresa. Quindi meglio affidare la pratica ordinaria dei sacramenti alla moglie o alle sorelle, e così evitare penitenze, scomuniche, infamia e disonore.
La conquistata autonomia delle cose terrene viene via via riassorbita da una nuova clericalizzazione della vita e delle coscienze. Nel tardo Medioevo la vigilanza etica dei mercanti era stata esercitata dai frati francescani e domenicani. Si svolgeva dentro una frequentazione ordinaria e nell’amicizia, ed era un accompagnamento partecipe e solidale di persone in carne e ossa osservate nelle piazze, non immaginate nei confessionali. Il trauma della Riforma-Controriforma divorò questo patrimonio di fiducia e di confidenza, e ricreò il sospetto reciproco e le distanze tipiche del primo millennio cristiano.
Il ruolo degli ordini religiosi è un secondo importante effetto indiretto della Controriforma. Il clima creato dalla Riforma generò nel mondo cattolico un generale sospetto verso gli antichi ordini religiosi (Lutero era monaco agostiniano). I monasteri e i conventi, soprattutto quelli maschili, da culle di spiritualità e di cultura iniziarono a essere guardati come potenziali covi di eretici, perché i monaci e i frati erano studiosi di Scrittura e perché “carismaticamente” aperti ai venti di riforma. Non pochi monaci e frati furono inquisiti e condannati. Alcuni francescani, ad esempio, accusati di luteranesimo furono giustiziati attorno alla metà del Cinquecento: Giovanni Buzio, Bartolomeo Fanzio, Girolamo Galateo, Cornelio Giancarlo, Baldo Lupatino. La Riforma tridentina non poggiò sugli ordini antichi (monaci e mendicanti), ma sui nuovi ordini, in particolare i Gesuiti, ma anche i Barnabiti, i Teatini, i Somaschi, i Cappuccini, e sui sacerdoti diocesani. Il nuovo sospetto e la disistima nei confronti degli antichi monaci non solo frenò lo sviluppo di quei laboratori economici, culturali e tecnologici che erano stati per molti secoli i monasteri; complicò non poco anche l’azione economica e sociale dei francescani e la loro cura pastorale di mercanti e artigiani dentro le città. Lo sviluppo che avevano avuto i Monti di Pietà grazie all’azione dei frati minori, a partire dalla seconda metà del Cinquecento conobbe una crisi. I Monti che pur continuarono a essere fondati si staccarono progressivamente dai francescani per diventare istituzioni comunali o delle diocesi. Persero così il loro essere banche a sostegno anche dell’attività dei piccoli e medi imprenditori per trasformarsi in enti di pura assistenza e beneficenza: «Il Concilio di Trento collocò il Monte di Pietà tra gli Istituti Pii e fra postazioni che i vescovi erano tenuti a visitare regolarmente» (Maria G. Muzzarelli, voce “Monti di Pietà” in Dizionario di Economia Civile>).
Un terzo effetto indiretto della Controriforma fu la progressiva “femminilizzazione” del sacro e della religione: «Gli uomini potevano confessarsi, le donne dovevano» (Adriano Prosperi, I tribunali della coscienza), perché la frequentazione pubblica dei sacramenti era una pre-condizione per l’accesso al mercato dei matrimoni e per il pubblico onore delle sposate. La sfera economica e politica era intesa sempre più come faccenda maschile, mentre il sacro e le pratiche religiose diventavano il regno della donna, suora o sposata – “casa e chiesa”. Le pratiche religiose mal si coniugavano con la virilità, e una pietà popolare sempre più femminile produceva pratiche devozionali dove i maschi si sentivano scomodi e che quindi disertavano – e il processo si auto-alimentava in chiese arredate dalla (e per) la sensibilità femminile, con relativi linguaggio, preghiere e canti, una femminilità che non si avverte nelle chiese protestanti. La pratica della religione cattolica inizia a diventare un “mestiere” di donne governato interamente da maschi. Eserciti con soldati donne e ufficiali uomini. Le donne divennero anche il principale ingresso per la Chiesa nella vita della famiglia e quindi della società: «Il maschio è naturalmente pagano e tocca alla sposa cristiana non tanto convertirlo quanto salvargli l’anima. Il maschio selvaggio beve, gioca, bestemmia, molesta le donne, mena le mani; la sposa missionaria non contrasta questi suoi costumi, ma bada al sodo, che è quel minimo di Messe, sacramenti e devozioni sufficienti a restare fondamentalmente in pace con il cielo. Poi basta cogliere l’anima direttamente sul letto di morte» (Luigi Meneghello, Libera nos a malo). La teologia della sofferenza vicaria, poi, funzionava perfettamente in questa oikonomia familiare: le donne potevano salvare marito, padre e figli offrendo le loro penitenze e i loro sacrifici.
La confessione soddisfaceva bene anche il lato della “domanda”: le donne, soprattutto le consacrate, trovavano nel sacerdote l’unico contatto con l’esterno e con i maschi, che non di rado evolveva in amicizia e confidenza. Tanto che la gestione dei confessionali, che si diffondono nella Controriforma, e delle finestrelle dei monasteri era particolarmente accurata e disciplinata, anche per i ripetuti reati di sollecitatio e di adescamento nei confessionali, e per i conflitti tra suore. Come quelli denunciati a Ferrara nel 1623, quando un «confessore, mostrando premura solo per una decina di giovani suore, aveva prodotto la divisione delle religiose: le più, per ripicca, si astenevano da mesi dalla pratica del sacramento» (Mario Sanseverino, Un pericoloso ministero: confessare le monache nella Napoli della Controriforma 1563-1700). Per questa ragione dopo il Concilio di Trento fu introdotto il confessore unico per l’intero monastero e papa Gregorio XIII introdusse il limite dei tre anni di mandato.
Interessante è notare che mentre all’inizio della norma dei tre anni erano le monache a chiedere il rispetto dell’avvicendamento, qualche decennio dopo l’atteggiamento cambia e sono molte le monache a chiedere la proroga del triennio. Non stupisce allora che verso la fine del Cinquecento in diverse città si iniziò a stipendiare i confessori, per evitare il commercio di doni e mance tra singole suore e confessore. Una ulteriore intersezione tra economia e religione: il pagamento di un discreto salario monetario (al monastero di Santa Croce di Lucca, ad esempio, lo stipendio era di 60 ducati) usato come strumento per scoraggiare la creazione di beni relazionali in quanto sconvenienti o quantomeno imprudenti. Il bene comune del monastero (o almeno ciò che veniva percepito come tale dai responsabili, forse non dalle suore) viene perseguito con l’introduzione di denaro pubblico al posto di doni privati. A dirci che quasi sempre il denaro scaccia e sostituisce i doni, ma non è ovvio valutare gli effetti di questa sostituzione su tutte le parti in causa – anche i sistemi clientelari e mafiosi vengono sconfitti con l’introduzione di contratti trasparenti.
Un ultimo effetto, infine, riguarda il confronto con i Paesi protestanti. Nel mondo della Riforma – ce lo ha ricordato Max Weber – il laicato divenne essenzialmente il luogo della professione lavorativa intesa come vocazione (beruf). Chiusi i monasteri da Lutero e Calvino, si sviluppò l’idea che il nuovo luogo dove coltivare la vocazione cristiana fosse il lavoro civile: il convento divenne la città. Dell’ora et labora dei monaci i protestanti ripresero il labora, che divenne anche una nuova forma di preghiera. Anche il mondo cattolico della Controriforma conobbe una migrazione dal mondo monastico. Ma della formula monastica presero l’ora, la preghiera, che divenne anche una nuova forma di lavoro, soprattutto femminile, nei monasteri o nelle case. Furono infatti le pratiche religiose monastiche (ideale di perfezione, accompagnamento, lotta spirituale, penitenze…) a diventare l’ideale di vita dei laici, soprattutto delle laiche. Non è quindi vero che l’individualismo è la cifra del solo Protestantesimo. Ci fu anche un individualismo cattolico, sebbene molto diverso. L’individualismo nordico si sviluppò sul terreno dei diritti e delle libertà, e divenne l’individualismo del foro esterno; quello latino e cattolico divenne un individualismo del foro interno, privato, familista e femminile, con donne occupate nella cura dell’anima e dalla casa, ma escluse dal foro esterno, dominio esclusivo maschile (nei Paesi cattolici più che in quelli protestanti).
Ma c’è una buona notizia. L’antico spirito dell’arte della mercatura non è morto. Il fuoco è rimasto vivo sotto la cenere. Anche se non lo sanno, molti imprenditori italiani e spagnoli hanno lo stesso Dna etico dei mercanti che fecero splendide le nostre città e le nostre chiese, le loro stesse virtù, il loro stesso amore civile. Non lo sanno, ma è così. Uno spirito buono della mercatura che è ancora caldo, vivo e vivificante.