Nei Vangeli vengono ricordati due gesti apparentemente inutili compiuti dai discepoli di Gesù: l’offerta di cinque pani e due pesci per sfamare la gente (cfr. Mc 6,30-44), e l’unzione di Betania (cfr. Mt 26,6-13). Iniziamo dal primo: il Signore si ritrova con più di cinquemila persone che lo seguono, ormai è tardi e bisogna mettere qualcosa sotto i denti. Ma il luogo è solitario: dove andare a comprare del pane per così tante persone, ammesso che ci siano i soldi? I discepoli si sentono scoraggiati. Gesù chiede loro di dar fondo alla bisaccia: ci sono solo cinque pani e due pesci! Assurdo sperare di far cenare tutti, inutile ogni tentativo di raggiungere la locanda più vicina. E qui Gesù insiste: il poco che c’è, apparentemente inutile, basterà per tutti, a patto di metterlo a disposizione. Alla fine avanzeranno dodici ceste di pane e companatico.
Più intima e calda la scena che si svolge poco prima della morte di Gesù: mentre il Maestro si trova a cena a Betania, ospite nella casa di Simone il lebbroso (a differenza di Matteo l’evangelista Giovanni colloca l’episodio in casa di Lazzaro: cfr. Gv 12,1-8), una donna si accosta a Gesù e lo unge con un costosissimo unguento di olio profumato. È un gesto di venerazione e di amore che i discepoli non capiscono. Perché sprecare tanti soldi? Non era forse meglio vendere l’unguento e sfamarne i poveri con il ricavato? Il gesto sembra inutile, ma mentre nella moltiplicazione dei pani il rischio di fallire e di passare per ridicoli viene ricompensato da una cena abbondante, qui non si vede niente che possa far apprezzare la temerarietà della donna: all’inutile si aggiunge lo spreco.
Anche un grande mistero della vicenda evangelica si svolge all’insegna di questo inutile spreco: la verginità di Maria. Chi di noi non ha mai sorriso dell’ingenuo candore con cui incondizionatamente si professa che Gesù è nato da una giovane vergine? In effetti, perché Dio avrebbe voluto togliere a una giovane la gioia di una vita sessuale legittima e sana? Gesù non poteva nascere come tutti gli altri, visto che è venuto tra gli uomini per condividerne la sorte? Non è forse spreco e inutilità questa verginità? Non è ridicola?
Eppure, nella logica di Dio vale solo ciò che è apparentemente lontano dal consenso comune e dai successi a breve scadenza. Forse non riusciamo mai abbastanza ad aver fede perché non conosciamo il rischio dell’apparente inutilità: è inutile pregare e non preghiamo, è inutile sperare e non speriamo più, è inutile perdonare (tanto <<lui>> non cambierà mai), e non perdoniamo, e così divengono inutili tutte le cose essenziali, poiché solo quelle secondarie ci riescono subito. Conosco una suora che a settant’anni ha deciso di lasciare la scuola e andare a vivere con tre bambine affette da autismo: non sentono e non parlano, eppure questa religiosa continua a parlargli mentre le assiste in tutte le maniere; le stringe, le accarezza, le lava.
A che serve? A niente! Eppure su questo niente, dove mettono radici tutte le nostre paure più antiche, si compie quotidianamente il miracolo di un’esistenza serena e inspiegabilmente felice.
Ciò detto, avventuriamoci un poco dentro questo mistero di apparente inutilità per sottolineare alcuni aspetti importanti della verginità di Maria che descrivono le due condizioni che fanno nascere la fede.
Prima di tutto essa ci dice che Gesù è un regalo di Dio Padre e solo suo: il Figlio di Dio non nasce dall’unione sessuale di due persone che si amano e si regalano i propri corpi l’uno all’altro. Gesù nasce solo dall’amore di Dio; Gesù è gratis, lo si riceve interamente senza meriti o prestazioni particolari.
Gesù non è mio e non lo gestisco io. Ecco il primo significato della verginità di Maria che svela una condizione della fede: credere è un dono gratuito, come lo è il Figlio di Dio; per riceverlo devo accettare una cosa molto semplice, e cioè che egli venga a me senza che nessuno debba pagarne un prezzo, senza che io mi senta buono, bravo o giusto.
Per aumentare la mia fede Dio vuole solo che io mi senta degno di ricevere dei regali da lui. Se penso di valere qualcosa solo ed esclusivamente perché <<quello che ho me lo sono guadagnato>>, allora la fede non è cosa per me!
Il secondo significato della verginità ce lo suggerisce un Padre della Chiesa: Ignazio di Antiochia. Egli dice che c’è un filo conduttore tra il grembo silenzioso di Maria (perché non fecondato da uomo) e la tomba da dove il Signore è risorto lasciandola, appunto, deserta e silenziosa. Il silenzio avvolge Maria e quella tomba trovata spalancata la mattina del sabato. Non solo: il sepolcro in cui viene deposto Gesù era nuovo, incontaminato, come il grembo di Maria che accoglieva per la prima volta un figlio. Se conosciamo un poco la Bibbia sappiamo anche che il Creatore trae dalla materia informe e incontaminata la terra e ogni realtà vivente (cfr. Gen 1,2). La Bibbia è capace di farci sognare! È già detta così la seconda condizione della fede: plasmare quel silenzio di cui ognuno di noi può avvolgere la sua interiorità per far venire a galla la materia informe dei desideri, delle solitudini, dei fallimenti che reclamano i miracoli di Dio. Silenzio come volontà di non coprire di parole ciò che accade o voler spiegare tutto di tutti, tutto di me.