Kamala Harris, favorita alla Casa Bianca dopo la rinuncia di Joe Biden, infiamma la Convention democratica con un discorso su giustizia sociale e diritti civili, inclusa la difesa dell’aborto. Donald Trump risponde con la sua consueta retorica incendiaria, ma evita di fare dell’aborto una battaglia centrale. I cattolici americani si trovano davanti a un bivio tra due visioni del mondo, entrambe poco entusiasmanti. L’America resta divisa e la scelta elettorale si fa sempre più complessa
Non l’abbiamo vista arrivare, Kamala Harris. Eppure eccola lì, in prima linea, pronta a prendersi il testimone da Joe Biden. Il vecchio leone ha dovuto gettare la spugna, costretto a rinunciare alla corsa per la Casa Bianca a causa delle sue condizioni di salute. E così, per la prima volta, una donna di colore, con origini sudasiatiche, è diventata la candidata presidenziale di uno dei due grandi partiti americani. Un evento che, solo pochi anni fa, sarebbe stato impensabile.
Alla Convention democratica di Chicago del 2024, in un’atmosfera carica di tensioni e speranze, Kamala Harris ha tenuto banco con un discorso che non ha lasciato spazio a dubbi sulla sua visione per il futuro dell’America. Ha parlato di giustizia sociale, di uguaglianza, e ha promesso di lottare per i diritti civili, inclusi quelli legati all’aborto, tema che la vede in netto contrasto con il suo avversario, Donald Trump.
Harris, atea dichiarata, non ha esitato a difendere con vigore il “diritto” all’aborto, una questione che divide l’America come poche altre. Ha detto chiaramente che le donne devono avere il diritto di decidere del proprio corpo, e che lei si batterà per garantire questo “diritto”. Parole forti, che non sono piaciute a una parte dell’elettorato, soprattutto a quei cattolici che vedono nell’aborto una questione morale, non un semplice diritto da rivendicare. Ma Harris non si è tirata indietro: «Non possiamo tornare indietro», ha affermato, decisa a fare della protezione del diritto all’aborto uno dei pilastri del suo programma elettorale.
Dall’altra parte del ring, Donald Trump non ha cambiato il suo stile. Continua a giocare con il fuoco, insinuando dubbi sulla legittimità della convention democratica e, più in generale, sull’intero processo elettorale. La sua retorica, intrisa di accuse di brogli e attacchi personali, non fa che alimentare un clima di sfiducia e di divisione, lo stesso che ha portato all’assalto del Campidoglio nel gennaio del 2022.
Trump, sull’aborto, si muove con una certa cautela. Non ne fa una bandiera, come Harris, ma non lo ignora del tutto. Si dice favorevole a mantenere l’aborto legale solo in casi estremi – stupro, incesto, pericolo per la vita della madre – lasciando che siano i governi locali a decidere come regolamentarlo. E a Milwaukee, nella recente riunione del Partito Repubblicano, per la prima volta in quarant’anni, non si è parlato di un divieto di aborto a livello nazionale.
In politica estera, Harris e Trump rappresentano due facce della stessa medaglia americana. La prima è wilsoniana, convinta che gli Stati Uniti abbiano il dovere morale di diffondere la democrazia nel mondo. Il secondo è jacksoniano, convinto che gli Stati Uniti debbano evitare di farsi coinvolgere in conflitti che non li riguardano direttamente. Trump, nel suo primo mandato, si è fatto ritrarre nello Studio Ovale con un quadro di Jackson alle spalle, un presidente che gli attivisti ‘woke’ hanno accusato di essere stato un razzista e schiavista.
Il suo candidato alla vicepresidenza, Vance, ha spiegato chiaramente l’approccio di Trump in un’intervista a New Statesman: un misto di scetticismo verso gli interventi esteri e un’aggressività estrema quando decide di intervenire. Trump ha promesso di mettere fine alla guerra in Ucraina in un solo giorno e a Gaza darebbe mano libera a Netanyahu, senza le limitazioni imposte dall’amministrazione Biden.
I democratici accusano Trump di essere il cavallo di Troia di Putin, ma il leader russo ha un interesse diverso: non tanto la vittoria di uno dei due, ma la destabilizzazione dell’America, che gli permetterebbe di espandersi in Europa orientale.
E i cattolici? Si trovano di fronte a una scelta amara: da una parte, la politica di tolleranza e di protezione dei più deboli di Harris, che però abbraccia anche la cultura woke e il diritto all’aborto; dall’altra, l’intolleranza di Trump verso l’interruzione di gravidanza, che però si accompagna a politiche restrittive sugli immigrati e a un liberismo economico che ricorda da vicino un nuovo schiavismo. In conclusione, per i cattolici – e non solo – queste elezioni non offrono un’opzione esaltante. La scelta è tra due mali, e scegliere il minore non sempre consola.