La pace non può essere costruita sulla menzogna, perché non c’è un’autentica pace se non c’è un rispetto della verità. Così il professor Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e Letteratura russa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, già direttore per quattro anni dell’Istituto italiano di cultura a Mosca, guarda alla possibile soluzione del conflitto in atto in Ucraina.
Professore, ci può aiutare a leggere la crisi russo-ucraina da una prospettiva più ampia di quella geopolitica? Cosa vuole affermare la Russia, anche sotto l’aspetto culturale?
La questione geopolitica è importante, ma per capire che cosa sta succedendo penso sia fondamentale risalire a ciò che ha suscitato queste tensioni. Infatti, non si può dire che tutto dipenda dalla questione dell’allargamento della Nato, o dalla difesa dei russofoni. Almeno inizialmente e in linea di principio, non c’è, e non c’è stata nessuna pressione nei confronti di chi parla russo in terra Ucraina, il problema è stato suscitato dalla Russia con un’enfasi aggressiva sul tema della difesa dei russofoni. L’allargamento della Nato c’è stato, ma l’ultimo ampliamento significativo risale al 2004. Inoltre, riguardo al rischio percepito dalla Russia che l’Ucraina possa entrare nella Nato, già nel 2008 la Germania e altri Paesi avevano posto il veto alla proposta degli Stati Uniti. Per cui, si può discutere sulle modalità e sul trattamento nei confronti della Russia, che doveva essere diverso, ma non si può dire che la tensione attuale dipenda da questo, come dimostra del resto l’evoluzione drammatica di queste ore.
Piuttosto, dovremmo ricordare una questione più lontana nel tempo, legata al Memorandum di Budapest del 2004. In base a tale accordo la Russia, in cambio del trasferimento dell’arsenale nucleare rimasto in alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica (tra cui l’Ucraina), si impegnava a rispettare l’indipendenza e la sovranità di tali nazioni entro i loro confini di allora. E questo trattato non è stato rispettato, prima con l’annessione della Crimea e poi con la questione suscitata nel Donbass.
Esiste invece un nesso tra l’atteggiamento aggressivo della Russia verso l’esterno e la sua politica interna, di controllo della memoria collettiva attraverso la propaganda?
Questo è il punto a cui volevo arrivare. Tale legame è diventato clamorosamente evidente lunedì sera, durante il discorso in cui Putin ha preso posizione nei confronti delle Repubbliche autoproclamatesi indipendenti. Nel lungo excursus storico ha affermato che l’Ucraina non è mai esistita come entità autonoma, ma sarebbe una produzione della rivoluzione bolscevica, con Lenin prima e Stalin dopo. Da un punto di vista storico questa è pura fantasia, sostenere ciò vuol dire fare piazza pulita della memoria storica di un secolo. Non solo l’Ucraina non è stata favorita dall’Unione Sovietica, ma ha avuto come tremenda conseguenza la grande carestia degli anni Trenta.
Quindi il problema è proprio questo: oggi si cerca di ricostruire una storia nuova, molto orwelliana, dalla quale vengono espunte alcune pagine significative, come ad esempio le vicende dello stalinismo. Viene fatta circolare l’idea che, nonostante milioni di vittime, Stalin abbia reso l’Unione Sovietica un Paese potente, rispettato e soprattutto temuto.
Perché si fa questo? Perché si vuole eliminare quella parte della società civile che, recuperando la memoria storica del proprio Paese, ne ricava un’immagine che si scontra con l’idea di una Russia potente e legittimata ad espandersi nei territori che erano diventati suoi. Ma questa immagine della Russia non è reale. Penso che solamente il recupero di una memoria storica integrale potrebbe dare la possibilità di trovare spazi di costruzione pacifica, che ad oggi sembrano impensabili.
In questo senso, la voce Dialogo e pace nel contesto internazionale del Dizionario di dottrina sociale, evidenzia il ruolo della Chiesa nell’elaborazione del concetto di una “pace positiva”, che nasca da una scelta per la libertà e la verità.
Esattamente, credo proprio che ciò possa realizzarsi recuperando la storia nella sua complessità. La pace non può essere costruita sulla menzogna: non c’è un’autentica pace se non c’è un rispetto della verità. Ma la verità non è mai contro qualcuno, è una verità che cerca di trovare nella complessità le ragioni dell’uno e dell’altro. Ad esempio, potremmo chiederci: dopo settant’anni di violenza, com’è stato possibile che sia nata una Russia libera, senza spargimenti di sangue?
In quegli anni una parte della società civile aveva fatto crescere un’atmosfera diversa, dove dignità e rispetto, pur in maniera sotterranea, erano diventati significativi. Le faccio un esempio soltanto, che purtroppo ci siamo dimenticati: una delle parole d’ordine di Gorbačëv, che portò al crollo del sistema, fu la glasnost’. Ma glasnost’ era una parola d’ordine del primissimo dissenso sovietico degli anni Sessanta, tanto che compare già in uno dei testi di Sacharov, nel ’67-’68.
Fare memoria di tutta la complessità della storia ci aiuta a non fare giustizia sommaria dei “nemici”, ma a cogliere qualcosa di diverso, e cioè che il dissenso in quegli anni aveva fatto una scelta netta, precisa, per la non violenza, per distinguersi dai metodi del regime. Recuperare questa storia integrale, non nascondendosi più dietro l’idea di una grandezza geopolitica, permetterebbe di recuperare una grandezza della Russia che nessuno le può togliere, e che diventa esemplare, invece di insistere con una difesa aggressiva dei propri diritti che produce ulteriori divisioni e tragedie.
Di fronte a questo scenario di guerra, la posizione di papa Francesco, e più in generale la tradizione sociale della Chiesa, possono offrire un’alternativa realmente percorribile?
Credo che non abbiamo ancora colto fino in fondo la posizione di papa Francesco, che aveva già delineato nella Fratelli tutti. La sua è una prospettiva profondamente radicata nella tradizione della Chiesa del XX secolo, per una difesa a tutti i costi della pace, e – come ha precisato il Papa – con trattative che devono essere “serie”. Appunto, la pace nella verità.
Ci troviamo di fronte al rischio di una Terza guerra mondiale proprio nei giorni in cui si celebra l’anniversario dei cento anni morte di Benedetto XV che, nel pieno del primo conflitto mondiale, aveva definito la guerra come una “inutile strage” e il “suicidio dell’Europa”. Possiamo superare questo rischio solo nella misura in cui ci rendiamo conto che al centro della storia ci sono realmente le persone. Se siamo usciti dalla Seconda guerra mondiale, in una Europa distrutta, è stato perché abbiamo puntato sulla libertà e la creatività della gente, scommettendo sulle persone e ricostruendo un continente dalle macerie.
Questo è possibile se ognuno riconosce le proprie responsabilità, e coglie dalla storia alcuni momenti significativi. Penso alla separazione pacifica della Cecoslovacchia. Noi italiani, poi, dovremmo ricordare gli accordi tra Italia e Austria per superare la controversia dell’Alto Adige o Sud Tirolo. Anche nella storia russa e ucraina andrebbero trovati momenti di pacificazione, che oggi potrebbero essere utilizzabili ed esemplari.