COSÌ LA CHIESA STA RIPRENDENDO IL LARGO

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Al Porto Antico di Genova si sono tirate le fila di quanto fatto finora, dall’ascolto diffuso in diocesi (10 mila persone coinvolte) ai cantieri delle “buone pratiche”, partendo dalle periferie

Un tempo sognato che bisognava sognare. Genova ha preso in prestito questo verso di Ivano Fossati, suo illustre concittadino, per tirare le fila del secondo anno del Cammino sinodale. «Perché il Cammino è questo», ricorda l’arcivescovo, padre Marco Tasca, «un tempo sognato atteso da tanta gente, da troppo tempo. Non ha obiettivi prefissati, è molto di più. Per seguire lo Spirito, è abbandonare ciò che appesantisce. È correre il rischio di sognare quanto il Vangelo ci chiede in forme sempre nuove». Il 10 giugno scorso 700 persone si sono ritrovate nel cuore del Porto Antico per far risuonare esperienze che nel Sinodo in parte stanno nascendo e in parte, già esistenti, stanno trovando valorizzazione.

Un incontro della città “ecclesiale” con la città “sociale”, decine di buone pratiche avviate o risvegliate nelle parrocchie, ma anche l’ascolto attento di movimenti laici come Fridays for Future e Arci, Music for Peace e Genova Che Osa. Realtà che ogni giorno si battono per una città più giusta, a partire dalla tutela ambientale di un territorio aspramente cementificato, dall’apertura di spazi e circoli di quartiere, dal coinvolgimento della cittadinanza in un impegno che compensi l’ingiusta distribuzione di risorse e il “mal-trattamento” lavorativo delle nuove generazioni, enorme problema per la città più “vecchia” d’Europa.

Con la stessa logica inclusiva e partecipata, nei mesi scorsi le persone di buona volontà sono state convocate in un’agorà virtuale da Dialoghi in città, una trasmissione realizzata da Extra (l’esperienza dicomunicazione sinodale) e mandata in comunicazione sinodale) e mandata in onda una volta al mese da Radio fra le note, l’emittente diocesana fondata dal prete “influencer” don Roberto Fiscer. Dalla radio/podcast si è passati al docuvideo Un tempo sognato, disponibile online: un viaggio nella Genova di oggi che si racconta attraverso l’impegno quotidiano degli scout della periferia popolare di Begato, tramite il mutuo- aiuto della comunità latinoamericana di Santa Caterina, grazie all’Oratorio di Nervi riaperto dalle famiglie proprio sull’onda del Sinodo o, infine, attraverso l’esperienza delle associazioni di paese, come Isoverde, o di quartiere, come Oregina, gemmate da percorsi parrocchiali. Pulsa l’anima della Genova dei caruggi e degli “ultimi”, serviti da tanti “preti di strada” tra i quali la diocesi ha ricordato don Andrea Gallo a dieci anni dalla morte.

Un modello di Chiesa in uscita e di rete allargata oggi ripreso a esempio da un’esperienza laica di rigenerazione urbana come i Giardini Luzzati della cooperativa Il Ce.Sto. Non possono non venire in mente le canzoni di Fabrizio De André, in particolare quella Buona Novella rievocata dal vivo all’evento sinodale dalla cantautrice Giua. «Mentre lavoriamo in “cantieri” che sembrano prettamente ecclesiali», commenta don Gianni Grondona, vicario episcopale per la sinodalità, «stiamo sperimentando che lo Spirito ci spinge nel profondo delle nostre vulnerabilità, per aprirci sempre di più al resto della società. Ci dice che per “uscire” dobbiamo riscoprire la Parola di Dio per fare come Gesù che percorreva strade e villaggi, suscitando domande; che per testimoniarlo dobbiamo riscoprire la dimensione comunitaria, decentrarci come preti e responsabilizzarci come laici; che se crediamo al futuro della Chiesa dobbiamo lasciare che i giovani realizzino i loro sogni di comunità».

«Certo non mancano chiusure, resistenze e disillusioni, soprattutto dentro la Chiesa», chiosano laiche e laici dell’équipe diocesana, «ma dopo i focus group di ascolto di 10 mila genovesi, e ora gli incontri di lavoro dei tre “cantieri di Betania” con centinaia di partecipanti, si cominciano a delineare obiettivi e strade da percorrere»: riattivare i consigli pastorali, immaginare la partecipazione parrocchiale attorno a futuri “animatori di comunità” e affidare l’ideazione di nuovi spazi ai giovani stessi e ai loro bisogni, desideri, sensibilità.