In questi giorni parlavo con alcuni amici sul futuro delle nostre ‘piccole’ comunità ai piedi della Maiella pescarese. Personalmente, ritengo che abbiamo superato da tempo il ‘punto di non ritorno’; eppure, ci ostiniamo a ‘ritornare’, a conservare, a evitare di accettare il cambiamento in atto.
Sarà per quella innata nostalgia che ci abita, per quella formazione ‘clericale’ orientata in senso ‘conservativo’, o ulteriori concause non meglio identificate. In verità, io stesso vivo, in alcune situazioni, uno stile di conservazione e, in altre, una (ancora troppo) parziale apertura al nuovo che è avanzato da tempo. Forse è paura di non essere ancora pronti, forse piacere di restare in confort-zone conosciute e più gestibili, forse il limite che ci appartiene…
O un po’ tutte queste cose messe insieme e anche tante altre. Insomma, è giunta l’ora di imparare a leggere i ‘segni dei tempi’ sempre più inequivocabili. Ma per farlo occorrono occhi e cuore davvero profetici, aperti alla novità dello Spirito. Come possiamo rinnovare le nostre comunità perché non continuino a vivacchiare stancamente, fino alla ‘morte’, ormai non troppo lontana? Come possiamo dare una vera svolta missionaria alla nostra azione pastorale? Come possiamo smettere di fornire servizi a catena che nessuno più chiede, tra l’altro, e iniziare ad annunciare davvero il Vangelo di salvezza per tutti?
L’inevitabile cambio generazionale – già in atto, in verità – sancirà la definitiva morte della pastorale ordinaria finora portata avanti con ‘eroica fatica’. È tempo di essere ‘Chiesa estroversa’, ‘in uscita’, per usare una espressione cara a Papa Francesco. Da noi non viene più nessuno. E noi continuiamo a ‘convocare’ e, quindi, a constatare l’esiguo numero dei presenti e a lamentarci di conseguenza.
Il Covid – è fin troppo evidente – ha modificato le abitudini relative alla vita di fede. La logica dell’Incarnazione ci dice che Dio si incontra nella realtà dei nostri sensi che ne mediano la presenza misterica. Attualmente ne riusciamo a vivere solo alcuni e non sempre insieme.
Ci sforziamo di ‘vedere’ tale presenza nei Sacramenti, specie nell’Eucaristia e nella comunità che la celebra; proviamo a ‘gustare’ il mistero nutrendoci di Parola e di Pane; l’olfatto ci fa sentire il profumo di Cristo, ad esempio, nel sacro Crisma che effonde la sua fragranza o nell’incenso che evoca la preghiera che sale fino al cielo; l’udito ci apre all’ascolto del Verbo fatto carne, ma anche all’ascolto reciproco o alla preghiera comunitaria e al bel canto.
Tutto questo, quando è possibile e quando possiamo esserci. Di contro, non riusciamo più ad avere ‘contatti’ veri: in chiesa – per fare un esempio – non ci scambiamo più la pace con la stretta di mano o con l’abbraccio: abbiamo il terrore di ‘toccare’ il corpo del fratello o della sorella, come fosse ‘impuro’. Abbiamo paura di ammalarci, di contaminarci, quasi l’altro fosse ‘contagioso’. E questo (ma anche tanto altro…) ci ha fatto perdere la gioia dello stare insieme e di sentirci legati davvero.
Così, è mancata una dimensione essenziale della relazione al punto da minare il fondamento della fraternità e della consapevolezza di essere comunità. Ecco, una delle attenzioni da ricuperare: rifare la comunità. In che modo? Ovviamente, non ripristinando semplicemente lo scambio di pace ‘manuale’, ma ripartendo dallo stile di Gesù. Il Signore come voleva la sua comunità? Come l’ha pensata, costruita, plasmata, alimentata?
Per questo, dovremmo provare a ridire il Vangelo alle famiglie, sempre più impegnate fino allo stress e alla nevrosi collettiva che creano una situazione di sfaldamento sempre più evidente; alle giovani generazioni, sempre più distanti dal nostro modo attuale di proporre una fede che con attrae più, che parla un linguaggio obsoleto; ai lontani, che si sentono sempre più giudicati e condannati, senza, per questo, ridurre la portata delle esigenze di conversione e di santità.
Insomma, è tempo di rimetterci in ascolto dello Spirito per pregare, pensare, studiare insieme forme nuove di primo annuncio, oltremodo urgente, in un mondo che cambia in maniera sempre più repentina e che ci vede sempre più ‘appesantiti’ in tante faccende inutili e per nulla pronti, invece, a correre verso nuove sfide. (Don Rocco D’Orazio)