Una riflessione sul messaggio del Papa per la Giornata mondiale che la Chiesa celebra il 24 maggio 2020. L’immagine del “telaio”, che rimanda ai fili dei nostri vissuti quotidiani
La prima è “memoria”: da intendersi non soltanto come la facoltà intellettiva del ricordare ma soprattutto come l’essenza autentica di ciò che siamo. La nostra vita, infatti, è frutto di memorie, incontri, esperienza. Esse sono il nostro passato, riflettono il presente e pongono le basi per la costruzione del futuro. Non è un caso che Francesco attinga dal libro dell’Esodo e spieghi che il racconto della liberazione dei Figli di Israele dall’oppressione, è avvenuta proprio grazie a un ricordo: quello di Dio che rammenta l’alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe e decide di farsi carico della sofferenza della sua gente. Ma il Signore non si ferma e continua i suoi prodigi passando il testimone a Mosè, chiedendogli di raccontare e fissare nella memoria dei suoi figli i segni del riscatto dalla schiavitù.
Altra parola chiave del messaggio è “storia”. “Siamo fatti di storie”, sembra dirci il pontefice perché «l’uomo è un essere narrante» che, fin da piccolo, si nutre di avvenimenti, ne è influenzato a tal punto da costruire la propria identità. Papa Bergoglio usa un’immagine suggestiva per descrivere questa capacità narrativa dell’umano: il “telaio”, che rimanda ai fili dei nostri vissuti quotidiani durante i quali affrontiamo situazioni difficili e combattiamo il male sospinti dalla forza dell’amore. Ma questa forza eroica a volte rischia di snaturarsi di fronte a tentazioni e derive esistenziali come il continuo bisogno di avere, di possedere, di consumare. «Quasi non ci accorgiamo – chiarisce Francesco – di quanto diventiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo».
Il messaggio di quest’anno è una sollecitazione a far sì che i legami sociali non diventino labirinti nei quali perdersi o abissi nei quali cadere. Papa Bergoglio cita il deepfake (sofisticata tecnica digitale per creare immagini finte che sembrano vere) come segno inequivocabile della falsità che può contagiare l’umano e spogliarlo di dignità. Nello stesso tempo, dà luce al nostro cammino di credenti chiedendoci di affidarci alla Scrittura che definisce “Storia delle storie”, perché in grado di entrare nelle nostre vite e di trasformarle. Il Vangelo, le storie dei santi (ma anche le semplici e ordinarie esistenze di ogni uomo) possono rivelarsi “meraviglie stupende” perché, narrando bellezza, giustizia, verità, rinnovano «in noi la memoria di quello che siamo agli occhi di Dio».
Ancora una volta il Papa (lo è stato anche per i messaggi precedenti) sceglie di non sbilanciare la sua annuale riflessione comunicativa sui tecnicismi, sugli strumenti o sulle pratiche delle Rete. Insiste, invece, su una comunicazione antroprocentrica, riposizionando il lógos non sulla téchne ma sullo sguardo del “Narratore” e di tutti gli uomini che «non sono comparse nella scena del mondo e la cui storia è aperta a un possibile cambiamento».