Assomigliamo a Noè. Siamo tutti “nella stessa barca”, responsabili della vita, nostra, degli altri e di tutti i viventi. Ondeggiamo in una situazione che dilaga per il mondo intero, simile al diluvio. Come il patriarca, apriamo più volte la finestra del nostro rifugio per vedere se il disastro volge al termine o meno.
Il libro della Genesi racconta che Noè fu l’unico giusto trovato dal Signore, il solo degno di essere risparmiato. Eppure, per salvare lui dal diluvio, Dio dovette preservare anche sua moglie, i suoi figli, le sue nuore, i suoi animali domestici e quelli che vedeva di lontano. Insomma: per risparmiare Noè, Dio doveva salvare anche il suo mondo, ciò a cui era legato con giustizia. Infatti, cosa ne sarebbe stato di Noè, chi sarebbe stato Noè senza il suo mondo? Per le Sacre Scritture, tutti i viventi devono la loro esistenza al fatto che il mondo a cui si legò il costruttore dell’arca non era grande come un appartamento o una casetta col giardino, ma, appunto, ampio, vasto, arioso come il mondo intero. Ci si salverà dal diluvio di oggi se Dio riuscirà a trovare (quanta forza ha per continuare a cercare?) uomini e donne dal mondo grande, di ampio respiro.
Perché Noè era giusto? Lo sa Dio. L’unico indizio che abbiamo vibra nel suo nome che potrebbe significare “Colui che riposa”; come se la giustizia che lo distinse dagli altri consistesse nella sua capacità di riposare. Certo, di lui si narra come solerte, laborioso costruttore dell’arca, ma la sua attività non gli impediva di “ri-posarsi”, di “posare” i carichi (specialmente quelli inutili) e soprattutto di “posare se stesso”: il suo corpo, le sue intenzioni, i suoi dettagliatissimi progetti e, alla fine, la sua stessa vita. La giustizia di Noè somiglia a quella dell’agricoltore descritto da Gesù (è Gesù stesso!): di giorno lavora alacremente seminando il suo campo, ma di notte, dorme, riposa, “posa se stesso”, convinto che il seme crescerà comunque, grazie a una forza incontenibile e misteriosa. Nel settimo mese di navigazione, Noè riuscì a far «posare»/«riposare» l’arca sui monti dell’Ararat (Genesi 8,4). «Riposare» e «far riposare» fanno di Noè l’uomo giusto a cui Dio consegna le sorti del mondo. Dio oggi sta cercando uomini e donne liberati dall’incapacità di riposare e far riposare, redenti dalla sovraeccitata ossessione di agire, tipica di quell’indemoniato che «continuamente, notte e giorno» faceva le stesse cose (Marco 5,1-20). Uomini e donne così, riusciranno a far riposare l’arca, al termine di questo diluvio.
Noè salva il mondo grazie all’arca. Si tratta di un contenitore, costruito su progetto del Signore. Dovendo galleggiare sulle acque è facile immaginarla come un’enorme barca, una nave di proporzioni gigantesche. Tuttavia, così com’è descritta, l’arca non sembra un vascello. Infatti è dotata di scompartimenti, stanze, tre piani, tetto e porta (Genesi 6,14-16). Evidentemente assomiglia più a una casa che a una nave. Tra i comandi divini per realizzarla, si legge che dev’essere «spalmata di bitume dentro e fuori». Nel testo originale, per dire «dentro», s’impiega l’espressione «in casa». Perciò Noè deve applicare catrame «in casa e fuori». Insomma: Dio chiede a Noè di costruire una casa. Solo così salverà il mondo. Ciò non è sfuggito agli artisti; infatti alcuni hanno raffigurato l’arca con le fattezze di una casa, come risplende nei mosaici della Cappella Palatina di Palermo, in quelli del Duomo di Monreale e del Battistero di Firenze, della basilica di San Marco a Venezia, nell’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, nella scultura romanica di Wiligelmo sulla facciata del Duomo di Modena. In casa si impara a guardarsi negli occhi, a sorridere, a fidarsi di persone e cose; perciò lì si apprende a mettersi in piedi e camminare, ad ascoltare e parlare, a farsi accarezzare e accarezzare. In casa si nutre e si è nutriti, si lavora e si riposa, si crescono i bambini, si curano i malati e si accompagnano i morenti. Se la casa funziona, almeno lì si è liberati dal cancro dell’anima che è la paura. La casa è un luogo intimo, interno, ma costruito con le cose del mondo di fuori, riconoscendole tutte amiche. È uno spazio interiore, ma munito di facciata che si esibisce all’esterno. È il primo mondo di chi è appena venuto alla luce e promette un mondo più grande somigliante a una casa; perciò, prima o poi, chi vi abita oltrepassa la soglia per uscire in strada, in campagna, in città. Cosa sarebbe stato di Noè, chi sarebbe stato Noè senza una casa?
Con espressione mozzafiato, sintesi di tutta quanta la Rivelazione, san Paolo scrive: «L’amore edifica» (1Corinti 8,1); letteralmente: «L’amore costruisce la casa». L’amore è amore quando costruisce la casa. Il diluvio di oggi finirà se Dio troverà uomini e donne che decidono di costruire la casa, desiderosi di edificare il mondo come una casa. Lui ha già posto il suo Cristo come pietra angolare. Rimbocchiamoci le maniche.
di Giovanni Cesare Pagazzi