Libertà è la parola più ambigua del lessico politico. Può voler dire quasi tutto e il contrario di tutto. Essa non si può né insegnare, né spiegare. Al massimo se ne può risvegliare il gusto: è questo l’obiettivo del libro di padre Leonardo Sapienza, Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, intitolato Libertà (Roma, Editrice La Ricerca, 2020, pagine 216), in cui si sottolinea che è indispensabile — affinché tale gusto sia ridestato — che il germe della libertà sia già custodito nel cuore e che l’esigenza della libertà sia «sentita» nelle profondità di un essere.
Il carattere ambiguo legato alla parola “libertà” fa sì che il suo concetto si presti a possibili interpretazioni insidiose e distorte. Se un giovane dice ai genitori che vuole essere “libero”, subito si pensa che tale giovane andrà presto a incontro a qualcosa di sbagliato. L’equivoco più abituale, a questo riguardo, consiste nel collocare la parola libertà in un contesto che non è il suo. Si dice libertà e si pensa che questa parola sia il lasciapassare per fare ciò che si vuole. «Ma la libertà essenziale, prima che nella linea del fare, si colloca sulla linea dell’essere», evidenzia monsignor Sapienza, osservando che «la libertà è la possibilità di realizzarsi secondo la verità della propria persona, secondo la propria volontà, secondo la propria vocazione».
E nella prospettiva cristiana «la libertà è la possibilità di fare ciò cui Dio mi chiama» e di porre in atto, pur tra ostacoli e difficoltà, il piano di Dio sulla propria vita.
L’edificante volume, dotto e al contempo di agevole lettura, si innerva e si sostanzia dei pensieri di illustri autori che nel passato si sono misurati con il concetto di libertà, sentito come passaggio nevralgico ed ineludibile nel processo di analisi della vita e del mondo.
Il barone di Montesquieu, come ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi, dichiara che la libertà non è assenza di norme e di principi, tanto meno è indifferenza acritica e libertinismo. Essa, invece, è una scelta convinta e coerente per «ciò che si deve volere», e questo bene da volere si compie non per obbligo esterno ma per un imperativo morale interiore profondo. E lo stesso cardinale Ravasi, nel commentare un passo della poesia Libertà di Paul Eluard, evidenzia che la parola libertà, sospirata e calpestata, rara e inflazionata, racchiude in sé una realtà necessaria per la persona e per il popolo. Una realtà necessaria ma insufficiente perché la mera libertà estrinseca senza contenuti è incapace di saziare l’attesa dell’uomo.
Nell’attingere agli scritti di don Luigi Sturzo, padre Sapienza mette in risalto i tratti salienti funzionali a evidenziare l’inestimabile valore intrinseco alla dimensione della libertà, la quale, scrive Sturzo, è «così alto dono della vita umana che purtroppo ognuno vuole per sé e nega agli altri». Si impone dunque l’esigenza di uno sforzo, da parte della società, diretto ad equilibrare la libertà di ciascuno in «un unico vero regime di libertà».
Dichiara Sturzo: «La libertà è come la verità, si conquista, e quando si è conquistata, per conservarla si riconquista, e quando mutano gli eventi e si evolvono gli istituti, nel difenderla si riconquista». Viene così a svilupparsi «un giuoco dinamico» nel quale «perdono quei popoli che non l’hanno mai apprezzata abbastanza per difenderla, e non ne hanno saputo usare per non perderla».
Da don Sturzo a padre David Maria Turoldo che, senza tante cerimonie, sentenzia: «Senza la libertà non sei neppure un uomo». Essa è «il più sacro dei doveri perché è il nostro più grande dono, e per questo è la più difficile conquista». Sulla libertà è fondata la libertà dell’uomo. «Il sacrificio, il sangue, la morte non valgono, insieme, un atto libero della mia volontà», scrive padre Turoldo. Illuminanti, poi, sono le riflessioni sulla libertà formulate da Paolo VI , il quale mette in guardia sul fatto che il suo uso non è facile: essa ha bisogno di una «educazione» e di una «formazione». Il suo uso deve essere «sempre più umano, cristiano». Scrive Paolo VI : «Non potremo progredire nella vita cristiana, né in quella ecclesiale, se non avremo progredito nell’autentico e legittimo uso della libertà».
Toccanti sono i pensieri contenuti nelle lettere e negli scritti del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, detenuto in carcere al tempo del nazismo. «Non solo l’azione ma anche la sofferenza è una vita verso la libertà — afferma —. La liberazione nella sofferenza consiste in questo, che all’uomo è possibile rinunciare totalmente a tenere la propria causa nelle proprie mani, e riporle in quelle di Dio. In questo senso la morte è il coronamento della libertà umana». E quindi aggiunge: «Solo dalla libertà da sé stessi, solo dall’esserci per gli altri fino alla morte nasce l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza».
Con il suo caratteristico piglio disinvolto e incisivo, sulla libertà riflette anche Gilbert Keith Chesterton, il quale a proposito della libertà religiosa afferma che essa potrebbe significare che tutti sono liberi di discutere di religione. «In pratica — ammonisce — significa che quasi nessuno è autorizzato a menzionarla». Osserva quindi che la libertà ha prodotto scetticismo e lo scetticismo ha distrutto la libertà. Gli amanti della libertà credevano di renderla illimitata, mentre «la lasciavano soltanto indefinita». Credevano di lasciarla solo indefinita, mentre in realtà «la lasciavano indifesa».
Il libro offre anche un ampio florilegio di massime sulla libertà: ciascuna, a suo modo, è illuminante e specchiarsi in esse è un esercizio, al contempo, piacevole e salutare. «La libertà — scrive Camus — non è altro che una possibilità di essere migliori, mentre la schiavitù è la certezza di essere peggiori». Goethe dichiara che «nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo» e Cocteau, con arguzia, rileva che «un’eccessiva libertà mette la gioventù nell’impossibilità di disobbedire alle regole». E lascia inquieti il penetrante interrogativo posto da Kipling: «Chi resta in piedi se cade la libertà?».
di Gabriele Nicolò