L’immagine più chiara ed efficace è quella del cammino da fare insieme. Nel senso che il Sinodo sulla sinodalità è finito ma in realtà continua. Lo stesso Documento conclusivo approvato sabato scorso deve diventare strumento di vita vissuta coinvolgendo tutti, recita il testo, in un percorso condiviso di consultazione e discernimento. Significa che «si continuerà a lavorare a diversi livelli – spiega il vicepresidente della Cei monsignor Erio Castellucci arcivescovo di Modena-Nontantola, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale –. Il primo è quello delle diocesi. Ci sono tanti spunti ed esperienze cristallizzati nel Documento finale, un testo che non è nato semplicemente dal lavoro di qualche settimana, ma è maturato in questi tre anni e che ora avendo annunciato il Papa che non ci sarà alcuna esortazione apostolica, diventa il testo da consegnare alle Chiese locali. E poi c’è il livello dei gruppi di studio che continuerà a lavorare sui temi sinodali, alcuni molto impegnativi per l’intera Chiesa».
I commenti si sono concentrati soprattutto sulle donne.
La parola chiave emersa al termine dei lavori è armonia, armonia delle differenze.
Al Sinodo si è parlato anche della necessità di superare certe rigidità che caratterizzano la vita della Chiesa. C’è, a suo modo di vedere, uno scollamento tra vertici e base?
La sfida riguarda sia pastori che laici, insomma. Non a caso Sinodo vuol dire camminare insieme.
Una svolta importante.
Un altro aspetto riguarda molto il nostro Paese.
A proposito delle Chiese in Italia siamo alla vigilia di un appuntamento importante, quello della prima Assemblea sinodale, che si svolgerà dal 15 al 17 novembre in San Paolo fuori le Mura, a Roma.
Sì, per noi è questa la fase finale del Cammino sinodale, che poi sarà, speriamo, la fase iniziale di un rinnovamento. Raccogliamo i frutti di questi anni, vissuti sempre in contatto, anzi il primo proprio in osmosi con il Sinodo generale. Li raccogliamo attorno ad alcuni elementi specifici per l’Italia che sono in gran parte condivisi. Il fatto che il Papa abbia deciso di non scrivere un’Esortazione apostolica consegnando alle diocesi il Documento approvato sabato ci facilita molto, perché ci dà già dei punti di riferimento fermi. Poi noi dovremmo procedere anche considerando le peculiarità dell’Italia. Per esempio dovremmo tenere conto che da noi il 95% della formazione attualmente riguarda i bambini e i ragazzi, cioè l’iniziazione cristiana in preparazione ai sacramenti, però aprendoci al discorso degli adulti, dei giovani. Un altro tema, quello dei ministeri femminili e maschili, in Italia è abbastanza consolidato, ma anche a rischio clericalismo; quindi, dovremmo vedere come collocarlo dentro un orizzonte missionario che non sia solo al servizio di una conservazione che vorremmo superare ma di una Chiesa più estroversa, più in uscita, come dice il Papa. Inoltre, ripeto, la questione delle strutture, abbastanza specifico per noi, intrecciando la legislazione concordataria con quella italiana che assegna al responsabile pastorale della Comunità, il parroco, anche la responsabilità legale.
Tornando ai calendari, dopo quella del 15-l 17 novembre, dal 31 marzo al 4 aprile si terrà la Seconda assemblea sinodale.
A novembre si partirà dai i Lineamenti che sono già stati distribuiti e che inquadrano i temi che dovranno essere trasformati durante l’Assemblea in uno strumento di lavoro consegnato alle diocesi, che avranno tre mesi per integrarlo con osservazioni e proposte. Nell’Assemblea di fine marzo e inizio aprile verranno discusse e votate le proposizioni cui i vescovi daranno forma definitiva nell’Assemblea generale di maggio, così da diventare orientative e normative per le Chiese italiane.
Ma se lei dovesse riassumere il bello del Sinodo appena concluso, il segno da cui si è sentito maggiormente arricchito?
Direi il contatto quotidiano per un mese con uomini e donne, vescovi, laici, papà, mamme, religiosi, religiose di tutto il mondo, la possibilità di ascoltare la testimonianza di Chiese tra loro diversissime, realizzando l’immagine di una sinfonia, fatta di note, strumenti, voci, spartiti che apparentemente non sono legati. Chiese in situazioni di guerra, Chiese di territori dove i cattolici sono un’infima minoranza, dove i credenti non possono esprimere la loro fede. Eppure il concerto, la sinfonia, era segnato dalla gioia di essere cristiani, dalla bellezza del credere, dalla possibilità di vivere la carità verso i fratelli e le sorelle, anche quelli di altre fedi o di nessuna religione. Dove da noi spesso prevale la noia o la nostalgia, là si vive la gioia di essere lievito, piccole comunità ma creative.