Cardinal Biffi: cari preti Gesù ci stupisce sempre ed eccede ogni ragionevole progetto

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Dal 6 settembre è in libreria un volume che raccoglie le omelie pronunciate dal cardinale durante i suoi vent’anni da arcivescovo (1984-2004) al clero di Bologna

Da oggi è in libreria il volume di Giacomo Biffi (1928-2015), Il fascino del sacerdozio. Una gioia tribolata, (Edizioni Studio Domenicano, Bologna, pagine 352, euro 22).

Il volume raccoglie 75 omelie – per la prima volta raccolte in un libro – pronunciate dal cardinale, originario di Milano, nel corso dei suoi venti anni di episcopato (1984-2004) a Bologna. Sono le omelie per le ordinazioni presbiterali ed episcopali, per le giornate trascorse con il clero bolognese e anche di altre diocesi e le omelie tenute nella Messa crismale del Giovedì Santo. Di seguito alcuni stralci.

Mi è stato raccontato di un professore di Sacra Scrittura – di una Facoltà lontanissima da Bologna – che dichiarava pubblicamente la sua determinazione di bocciare chi tra i suoi alunni sarebbe andato a dirgli che l’Antico Testamento da qualche parte parlava di Cristo. Bene; allora io dico che se l’Antico Testamento non parlasse di Cristo, non saprei proprio che farmene. Lo getterei tranquillamente dalla finestra (o forse sarebbe meglio, se l’altezza non è troppa, gettare dalla finestra il professore).

Entrò nella sinagoga (Luca 4,16; 6,6), tra i suoi fratelli secondo la carne, dove tutti lo stavano aspettando dal tempo della vocazione di Abramo; eppure fu una sorpresa: il suo fulgore era troppo abbagliante, la sua grandezza era incontenibile, la sua novità sconvolgeva troppo ogni abitudine acquisita e ogni plausibile previsione.

Gesù è sempre così: ci stupisce sempre, rompe ogni ragionevole progetto, ci eccede. Come Dio è più grande del nostro cuore (cf. 1 Giovanni 3,20), così il Figlio di Dio è sempre più grande della nostra storia; perciò dobbiamo stare pronti a lasciarci continuamente superare dalla sua ricchezza e dalla sua fantasia […].

Uno solo è il vostro Maestro: il Cristo (cf. Matteo 23,10). Noi dobbiamo ascoltare con interesse e con rispetto tutti coloro che sono chiamati a insegnare (e, primi fra tutti, gli esegeti e i teologi), ma sempre relativizzandoli a lui; e tanto più relativizzandoli quanto più essi sentono come tutti la tentazione di assolutizzarsi. Noi vogliamo prestare attenzione sincera e cordiale a quanti si prodigano a comunicarci i risultati delle loro ricerche e dei loro studi; ma conservando un po’ di senso dell’umorismo, tanto più necessario quanto più i maestri umani hanno talvolta l’inclinazione (molto comprensibile e naturale, del resto) a prendersi molto sul serio. Noi, in tutti i maestri umani, sopra tutti i maestri umani, invece di tutti i maestri umani, vogliamo ascoltare lui, l’unico vero Maestro, che ci parla dal Libro sacro, e per mezzo di tutto il magistero ecclesiale che si è dispiegato in questi venti secoli, e nella feconda docilità di duemila anni di storia del popolo di Dio […].

Questo episodio (Luca 6,6-11) ci rivela ancora una volta il cuore compassionevole del Signore. Di fronte alla sofferenza umana egli si lascia commuovere e opera il prodigio.

E questa pagina ci dice che è prerogativa di un cuore compassionevole anche la capacità di indignarsi di fronte all’ottusità, all’aridità di spirito, soprattutto alla strumentalizzazione del dolore di un uomo, che viene piegato a servire alla polemica teologica e religiosa.

Proprio questa è la colpa degli scribi e dei farisei. Essi mettono in prima fila quell’infelice, e poi stanno all’erta per vedere se lo guariva di sabato (Luca 6,7). La voce di Gesù si fa vibrante anche nella controllata prosa di Luca: Domando a voi: è lecito in giorno di sabato… salvare una vita o perderla? (Luca 6,9); Marco, che non pettina la sua arruffata scrittura, dice che Gesù girò su di loro uno sguardo pieno di «rabbia». E così ci ricorda la santità dell’indignazione, quando c’è una ragione giusta di collera […].

«Su Gesù Cristo è stato effuso con pienezza l’olio di letizia (cf. Isaia 61,3), cioè lo Spirito di consolazione; una pienezza che sovrabbonda e tracima su di noi, rendendoci la stirpe eletta e il popolo che Dio si è acquistato (cf. 1 Pietro 2,9). Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (Giovanni 1,16).

Preti e non preti, noi che costituiamo la Chiesa di Dio, corpo vivo del Signore, siamo tutti dei consacrati. Ecco la verità semplice e grandiosa che oggi [nella Messa crismale] siamo invitati a riscoprire: non dobbiamo tollerare che questa certezza stia più a lungo nascosta ai nostri fedeli; non dobbiamo tollerare che, annebbiata e persa nelle opinioni desacralizzanti più diffuse, questa certezza resti magari nascosta anche a noi. Tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio (Deuteronomio 7,6), come sta scritto.

Crescere nella consapevolezza di tale ineffabile prerogativa; eliminare dal nostro essere e dal nostro agire ogni residuo di profanità; corrispondere con docilità sempre più grande alla nostra vocazione intrinseca ad entrare col Sacerdote eterno nel santuario celeste; in una parola, diventare ed essere quello che siamo: ecco per tutti noi – preti e non preti – il programma ascetico irrinunciabile e sostanziale, che ci è suggerito da questa nostra gioiosa liturgia».