Brani di difficile interpretazione della Bibbia, VI Gen 11, 9 Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra (tpfs*) Testi di Jean Louis Ska s.j.

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I seguenti brani, che illuminano l’interpretazione di Gen 11, 1-9, la pericope della torre di Babele, sono tratti da Jean Louis Ska, La benedizione di Babele, in AA VV, Bibbia, popoli e lingue, Piemme, Casale Monferrato, 1998, pp. 47-62. La lettura spirituale della tradizione della Chiesa, sottolinea la verticalità della torre e la sua pretesa di toccare il cielo, come la sua contrapposizione all’evento della Pentecoste, quando in ogni lingua saranno annunziate le grandi opere di Dio (cfr. At 2, 11). Le osservazioni che presentiamo arricchiscono, da un nuovo punto di vista, tale lettura ecclesiale che resta normativa.
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Questo il testo biblico commentato da p.Ska, secondo la traduzione CEI:

1Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. 3Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. 4Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. 6Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.


Una serie notevole di testi accadici utilizza l’espressione “un solo labbro”, “una sola bocca”. In questi testi, assiri o babilonesi, l’espressione significa: “armonia di intenti, di sentimenti, di governo e di religione”. Essa appare spesso in racconti che celebrano le vittorie di un re contro popoli ribelli. Le nazioni che rifiutano di sottomettersi, secondo il linguaggio del tempo, “non hanno un solo labbro”, vale a dire non andavano d’accordo con il re. Quest’ultimo, tuttavia, trionfa contro l’opposizione, sconfigge i suoi nemici e li obbliga ad “avere lo stesso labbro”, vale a dire a “tenere un solo discorso”, che era certamente quello imposto dal re di Assur. In parole povere, il re di Assur afferma che: “C’è armonia quando tutti sono d’accordo con me”. L’espressione “un solo labbro” significa quindi essere d’accordo con il potere centrale. L’altra traduzione, più comune, “una sola lingua”, “un solo modo di parlare”, non ha molti appoggi né nel testo né nei paralleli accadici…
“Costruiamo una città con una torre!”, recita il testo biblico (Genesi 11, 4). La città, forse, è più importante della torre, ma nell’immaginario popolare, soprattutto nell’immaginario dei pittori, conta solo la torre di Babele. Infatti, parliamo sempre della torre di Babele quando discutiamo di questo racconto, e quasi mai della città di Babele che occupa nondimeno un posto considerevole nel brano.
Anche nel caso della città esistono testi accadici che aiutano a chiarire il significato del testo biblico. Spesso, quando un re aveva finito di conquistarsi un grande impero, si costruiva una nuova capitale e le dava un “nome” che doveva ricordare le sue prodezze. Questa città possedeva mura e cittadella. C’erano quindi due cinta di mura, una prima per proteggere la città e una seconda attorno alla cittadella dove il re faceva edificare il palazzo reale e un tempio per il dio tutelare della città. Queste città rassomigliavano un po’ alla città di Udine con il suo castello e a tante città dell’Italia centrale che possedevano delle muraglie e una “rocca”…
Se accettiamo l’ipotesi di E.Testa e Ch.Uehlinger, il racconto di Genesi 11, 1-9 descrive la creazione di un impero. Il narratore di questo brano per spiegare ciò che aveva in mente ha utilizzato i simboli del tempo e specialmente simboli accadici, che vengono dalla Mesopotamia.

Hanno voluto creare un impero universale dove si utilizzava non esattamente «una sola lingua», ma si teneva «un solo discorso», tutti erano «unanimi», «concordi». Hanno anche costruito una sola città con una cittadella, che è simbolo dell’impero, «per darsi un nome», «immortalare la loro fama». Significa che hanno voluto creare un impero universale e questa sarebbe la nascita dell’imperialismo universale. Un imperialismo universale che voleva cancellare la diversità delle lingue, delle culture e della gente. Questo sarebbe l’intento e perciò Dio l’ha impedito. Qui abbiamo un esempio dell’ironia biblica, che troviamo in parecchi brani della Bibbia: hanno costruito una torre molto alta, però, per vedere questa torre, Dio è dovuto scendere. Mica hanno raggiunto Dio o il cielo. Erano così bassi che Dio ha dovuto scendere per trovare questa torre sulla terra. Si dice due volte che Dio è sceso per trovare la torre. E poi ha moltiplicato — diciamo — i «discorsi» e ha disperso la gente e così la gente non è rimasta a vivere soltanto nella pianura di Sin’ar, che rappresentava per l’autore di questo brano una metropoli un po’ strana anche per un fenomeno molto particolare, perché c’era una popolazione molto numerosa in questa pianura, c’era una sovrappopolazione. Ci sono antichi miti accadici che raccontano che persino gli dei erano disturbati dal molto rumore di tutta quella gente e perciò hanno provocato un disastro universale che è il diluvio. L’origine del diluvio, nei racconti mesopotamici, è la sovrappopolazione.

Gli dei hanno preso delle misure per impedire la sovrappopolazione. Qui, forse nel retroterra del racconto, abbiamo questa idea che non è buono avere una popolazione troppo numerosa nello stesso luogo. E Dio ha fatto sì che le nazioni si siano disperse per occupare più terreno. Occupare lo stesso luogo, nella stessa pianura, è pericoloso, per i miti accadici, per i miti della Mesopotamia e anche per la Bibbia. Meglio disperdersi e ritrovarsi in tutte le regioni del mondo. Questo sarebbe certamente un significato del brano. «Dio ha impedito» significa, forse, in un linguaggio più moderno, più secolare, che è impossibile creare un impero universale. C’è anche un secondo elemento. Bisognerebbe leggere il testo nel suo contesto e paragonare Genesi 11, «La storia di Babele», con Genesi 10, un testo meno conosciuto, il brano che parla delle popolazioni e delle nazioni del mondo. Questo testo si chiama «La Tavola delle nazioni». In questo brano, nel capitolo 10 della Genesi, quello che nel capitolo 11 diventa un castigo, è un processo naturale. E’ un dato di fatto che, dopo il diluvio, le nazioni siano andate a popolare ciascuna un’altra regione e ogni nazione, secondo la propria lingua, si sia stabilita in una parte dell’universo. Qui non c’è castigo, non c’è intervento di Dio. Ciascuno è andato per conto suo a popolare e a stabilirsi in una regione della terra e parlava la propria lingua. Cioè la moltiplicazione delle lingue non è un castigo divino. Questo è un fenomeno molto frequente nella Bibbia: abbiamo la giustapposizione dei due testi. Sono due interpretazioni dello stesso fenomeno, cioè che ci sono varie nazioni, varie lingue, vari discorsi, varie culture, vari progetti, varie imprese.

Da un lato è un processo naturale, è un processo semplice, che è andato liscio. Dall’altra parte è un castigo divino, il frutto di un intervento divino. Come interpretare il testo? È questo il compito di ogni esegeta, di ogni lettore della Bibbia. Ciò si può interpretare come il frutto di un intervento divino e si può interpretare come un processo naturale, che significa ugualmente che è voluto da Dio, ma non è stato necessario un intervento particolare per provocarlo. La Bibbia ci dà due immagini, il significato non é nel primo testo, non è nel secondo. E’ da qualche parte nella combinazione dei due. E adesso provo a fare questa combinazione, cioè provo a mettere insieme questo paradosso e a rispettare il paradosso e forse sarà un modo di rispettare la particolarità, dei testi e delle culture.

Conclusione

E una benedizione o una maledizione? Forse è una benedizione perché permette di evitare un’altra maledizione cioè l’imperialismo universale e anche la sovrappopolazione, cioè la volontà di mantenere tutta la popolazione in una sola regione e obbligarla a partecipare a una “sola impresa”, cioè la costruzione di un solo impero, partecipare a un solo progetto politico. Questo sarebbe un primo significato. E’ una benedizione perché impedisce la maledizione o cancella la maledizione. Perciò possiamo forse dire che abbiamo già lì un elemento di benedizione. Se il testo biblico dice che Dio è intervenuto forse è perché Dio protegge i valori sacri. I valori sacri sono quelli che uno non può cancellare, non può danneggiare senza danneggiare il patrimonio universale, senza danneggiare quello che fa parte dell’umanità come tale.
Se capiamo bene il testo, significa che Dio impedisce che gli uomini possano distruggere una parte essenziale dell’umanità, che è la diversità. La diversità non è un fenomeno secondario, è un fenomeno essenziale e non si può toccarla. Se gli uomini provano a cancellare la diversità, culturale, delle nazioni e così via, toccano in elemento assolutamente essenziale che, nel linguaggio biblico, è «sacro». Come si tocca qualche cosa che è sacro, Dio interviene. Aggiungo un altro elemento semplice. La molteplicità delle lingue è una benedizione o una maledizione? Sarà forse una vittoria contro certe forme di imperialismo? E se oggi certamente esiste, nel nostro mondo, una volontà di unificare per esempio le nazioni e di unificare le lingue, questo non è tanto conseguenza dell’imperialismo accadico o dell’imperialismo biblico.

E’ una conseguenza di ogni imperialismo. Lo troviamo, per esempio, nella Rivoluzione francese. La prima nazione che ha voluto unificare le lingue è la nazione francese. Sono i Giacobini che hanno voluto creare una repubblica, una e indivisa, ed evidentemente hanno soppresso il re, dunque l’unione personale. Il fondamento dell’Ancien régime era l’unione personale; la nazione intorno alla personalità del re, alla famiglia reale. Anche la famiglia d’Austria, radunava nell’impero austriaco e univa molti popoli, molte nazioni, varie lingue, varie culture, attorno alla persona dell’imperatore. Però quando si sopprime questo legame, cioè l’unione personale, bisogna creare altri legami e perciò si vuole creare una sola lingua. E’ a partire dalla Rivoluzione francese che si è fatta la guerra ai dialetti. Il famoso Racine, quando una volta ha fatto un viaggio nel sud della Francia, lasciata Parigi e arrivato a Lione, capiva appena la gente; quando è andato a sud di Lione non capiva più nessuno. Questo al tempo di Luigi XIV. E hanno cominciato a fare la guerra ai dialetti perché bisognava unire tutta la nazione e cioè avere una sola lingua. Con l’introduzione dell’insegnamento obbligatorio questo si è fatto facilmente; e con la televisione ancora di più.

Dunque l’idea di avere una sola lingua universale forse è meno biblica che rivoluzionaria. E piuttosto della Rivoluzione francese. Aggiungo una sola cosa. Kant, il filosofo che viveva al tempo della Rivoluzione francese, sembra che abbia cambiato la sua passeggiata quotidiana, che faceva ogni giorno sempre uguale, due sole volte. Una volta a causa della Rivoluzione francese. Kant diceva: ci vorrebbe un governo universale, un potere universale, per una sola cosa, però, per impedire la guerra. Impedire la guerra; per tutto il resto devono decidere le nazioni. E perciò possiamo tornare brevemente alla torre di Babele e dire che la torre di Babele è un racconto molto antico, satirico, direi. E’ una satira dell’imperialismo mesopotamico, che condanna l’uniformità ed esalta la diversità e dice che la diversità è voluta da Dio, è sacra, appartiene al patrimonio dell’umanità e non si può cancellare…