Questo titolo è preso da un intervento di don Giussani al Meeting del 1985 nel quale diceva che il cristianesimo più che una religione è “una passione per l’uomo” – risponde Bernhard Scholz, che del Meeting per l’amicizia tra i popoli è presidente –. Di fatto l’uomo che non si sente toccato, abbracciato da una passione per la sua vita e il suo destino soccombe alla paura o all’illusione dell’autosufficienza. È proprio sentire su di sé questa passione che fa venire meno la paura. E le inevitabili paure che rimangono perdono la loro forza paralizzante e possono diventare fonte di creatività.
Che segno lascia la pandemia nel sentimento religioso?
La pandemia ha riaperto in tante persone domande sul perché della vita, sul significato del mondo, sul senso della morte. Si è riacceso in tanti un interesse per l’arte e la letteratura come ricerca della bellezza e come possibilità di riflessioni esistenziali. Si sono riscoperti i valori delle nostre relazioni. Questo ha approfondito in alcuni la religiosità che già vivevano, in altri si sono aperti nuovi orizzonti da esplorare.
Il Covid ha fermato la globalizzazione. Si fugge dall’Asia, ma per andare dove?
Non so se il Covid ha fermato la globalizzazione, sicuramente l’ha resa più difficile. I rapporti con l’Asia sono mutati prima di tutto per ragioni economiche, logistiche e anche politiche. Sicuramente l’Europa deve aumentare la produzione tecnologica e farmaceutica al suo interno per essere più indipendente. In ogni caso rimarrà un livello intenso di scambi commerciali, anche se in modalità diverse e, spero, più rispettose dei diritti umani.
In pochi anni, è cambiato il modo di produrre, di investire, di risparmiare. Siamo passati da Maastricht all’inflazione. Ma quanto durerà quest’economia con la mascherina, fatta di debito e aiuti?
Sostegni pubblici per una ripartenza economica dopo la pandemia e adesso anche per cambiare le fonti e gli approvvigionamenti di energia sono indispensabili. Il Pnrr ne è la parte più significativa. Certamente si tratta di un passaggio a tempo determinato che non deve sostituire l’iniziativa e l’intraprendenza delle persone e delle imprese ma deve favorirle. Evitare una lievitazione del debito pubblico e un aumento nocivo dell’inflazione è un compito urgente per chi ha responsabilità politica in questo momento.
La pandemia e la guerra hanno archiviato l’antieuropeismo, ma perché non hanno risvegliato nella gente una vera e propria passione per l’Europa?
Una passione per l’Europa può nascere solo dalla consapevolezza di una cultura comune basata sulla dignità e la libertà di ogni persona, in particolare la libertà religiosa, una cultura che riconosce come fondamentali lo stato di diritto, la democrazia e una economia socialmente sostenibile. Questi sono valori che sono per niente scontati come vediamo dolorosamente tutti i giorni. Forse la guerra contro l’Ucraina ci rende più consapevoli che devono essere compresi, difesi e riproposti con forza e convinzione. Ma soprattutto devono essere vissuti da ognuno e dalla società civile nel suo insieme con coscienza, gratitudine e determinazione.
Quanto può durare ancora la guerra in Ucraina prima che si verifichino danni seri all’economia italiana?
Nessuno può sapere quanto durerà ancora questa aggressione folle e atroce. Ma penso che si debba essere capaci di supportare dei sacrifici quando si tratta di sostenere la libertà di una nazione. La libertà può chiedere impegni anche importanti. Eventuali sacrifici devono essere naturalmente calmierati per i più deboli e ripartiti in modo solidale.
Le guerre alimentano le migrazioni. Perché non riusciamo a incanalare i flussi migratori in un sistema di formazione al lavoro che diventi un volano di sviluppo per l’Europa?
Bisogna stabilire delle politiche attive di integrazione, a partire da percorsi di formazione linguistiche e professionali. Manca la volontà politica di affrontare questo tema. Alla marginalizzazione politica dell’immigrazione segue la marginalizzazione degli immigrati con tutti problemi personali e sociali che ne nascono. Non bisogna inventare niente di nuovo. Ci sono paesi europei che dimostrano che questo sia possibile, non facile, ma possibile.
Gli ultimi governi, ad eccezione in parte di quello giallo-verde, non sono stati espressione di una scelta chiara dei cittadini ma coalizioni anche eterogenee nate in Parlamento. Per far girare l’economia sono più importanti la stabilità e le buone relazioni con l’establishment internazionale oppure la mobilitazione popolare intorno ad alcuni obiettivi di sviluppo?
Il primo fattore decisivo per una crescita economica sostenibile sono persone e imprese capaci di creare e di innovare con le competenze e conoscenze necessarie. Poi c’è bisogno di un contesto politico che garantisce stabilità, favorisce investimenti nella transizione ecologica e – in quanto possibile – garantisce relazioni internazionali favorevoli ad uno scambio commerciale equo. Gli obiettivi più importanti di uno sviluppo anche economico sono l’educazione e la formazione. È questo il vero discrimine di un popolo e di una politica che guardano al futuro con realismo e speranza.