In verità, l’idea del sacramento come rituale di aggregazione a un gruppo che si forma all’interno della Chiesa, non è affatto nuova. Paolo analizza con toni appassionati e accesi questa deviazione (che probabilmente gli stessi cristiani di Corinto sottovalutavano): «Forse Paolo è stato crocifisso per voi o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio, perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome» (cfr. 1 Cor 1, 13-15). Nella semplicità della sua evidenza simbolica, l’atto del ministro del Battesimo che dice semplicemente «Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», rappresenta già tutta la Chiesa che si concentra nell’obbedienza al comandamento di Gesù. Per questo non deve affatto dettagliare altri titolari di questa consegna: fossero pure il Papa e i vescovi. Il singolo scompare dietro il Signore e dentro tutta la Chiesa (che cosa significa sottrarre ‘potere sacrale’?).
La menzione della comitiva dei mandanti, invece, richiama l’attenzione su un’autorizzazione che precede – e decide – l’evocazione del nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, come fosse da integrare per completare cristianamente l’atto del gruppo (in effetti, quando nella formula inventata, dopo aver detto «a nome di..», tu dici «noi ti battezziamo », questo «noi» chi è? Uno che ha ricevuto il mandato dai suddetti, e si presta burocraticamente a rappresentarli, versando l’acqua? E siamo sicuri che l’elenco degli aventi diritto è completo?). Insomma, se si tratta di dare valore alla partecipazione attiva e comunitaria all’atto sacramentale, le Note del Libro Rituale la confermano già esplicitamente e nel modo corretto: basta spiegarle e attuarle, simbolicamente, nel modo pastoralmente più adatto ( Rituale Romanum, Praenotanda, 4-7). Ma se l’atto stesso viene alterato, imprimendo la percezione di un sacramento su commissione, che gli impone il segno di una titolarità che precede quella di Gesù Cristo e supera quella della Chiesa, allora è un’altra religione. Un’ultima annotazione, sempre a proposito di buone intenzioni pastorali che suggeriscono cattive deformazioni teologiche. Nella condizione attuale, parlando terra terra, il sacramento è la cosa più cattolica che ci è rimasta. La pandemia in corso, a parte tutto il resto, sta mettendo a dura prova la ‘fisicità’ stessa della sua pratica celebrativa: che del resto, vive una stagione liturgicamente non brillante, anche guardando alla sua ‘normalità’.
La potenza, la bellezza, l’incantamento dell’azione di Cristo che si concentra nei sacri misteri chiederebbero una cura affettuosa, intelligente, fine e creativa. Perché l’azione sacramentale del Signore dovrebbe essere restituita alla sensibilità fine di un incontro insostituibile. Per noi, per tutti. Non ci sono ancora segni convincenti del fatto che siamo risoluti a intraprendere questo nuovo cammino verso la trasfigurazione del Signore. Di tutto, perciò, abbiamo bisogno, eccetto che di infantili improvvisazioni e di arbitrarie manipolazioni del canone liturgico. Rivestirlo di grazia e di umanità, per restituirlo al ‘tocco’ del Signore, dobbiamo. Leggere di più il Vangelo dei suoi atti e dei suoi contatti, per imparare come si fa. E chiudere con gli espedienti dei gruppi di autocoscienza comunitaria.