Aprire i cuori allo stupore per la novità di Dio. Alla presenza del Papa la prima predica di Avvento di padre Pasolini

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Lo stupore davanti alla novità di Dio, al mistero dell’Incarnazione è «il primo movimento del cuore da risvegliare» per incamminarci verso il Natale del Signore «e attraversare la porta del Giubileo con una viva speranza». Stupore come quello di Maria, dopo l’annuncio dell’angelo Gabriele, che «si lascia attrarre con estrema naturalezza» dal disegno di Dio e vuole «diventarne partecipe in modo libero e consapevole». Per farlo occorre però prima sciogliere le rigidità del cuore, dicendo no a tutto ciò che rischia di chiuderci e appesantirci: paura, rassegnazione, cinismo. Solo così «sapremo guardare tutto con occhi nuovi, riconoscendo quei semi di Vangelo già presenti nella realtà», pronti a portare nel mondo la speranza di Dio. Sono le parole della prima meditazione d’Avvento di padre Roberto Pasolini, francescano cappuccino, nuovo predicatore della Casa Pontificia, proposta al Papa e ai suoi collaboratori della Curia romana questa mattina, venerdì 6 dicembre, nell’Aula Paolo vi .

L’argomento scelto per le tre riflessioni è “Le porte della speranza. Verso l’apertura dell’Anno Santo attraverso la profezia del Natale”.

Dopo alcune, sentite parole di ringraziamento al suo predecessore, il confratello Raniero Cantalamessa, predicatore «della gioia e della luce del Vangelo» per la Casa Pontificia lungo 44 anni, padre Pasolini ha invitato ad aprire “La porta dello stupore”, tema scelto per la sua prima meditazione, prima davanti alla voce dei profeti, poi al «coraggio di dissentire» di Elisabetta, e infine all’«umiltà di aderire» di Maria. I profeti, coloro che «sanno comprendere profondamente il senso degli avvenimenti della storia», ci indicano, per il predicatore, la sfida da affrontare nel tempo di Avvento: «accorgersi della presenza e dell’azione di Dio dentro la storia e ridestare lo stupore di fronte a ciò che Egli non solo può, ma soprattutto desidera compiere ancora nella nostra vita e nella storia del mondo».

I profeti ammoniscono e aprono alla speranza

Sottolineando che in questo tempo la liturgia ci fa ascoltare molti testi profetici, il predicatore ha evidenziato che la loro voce non può mai lasciarci indifferenti, perché, come sostiene Geremia, produce in noi due effetti: ammonire per poi aprire alla speranza, perché «Dio riafferma la fedeltà del suo amore e offre al popolo una nuova opportunità».

Sono parole che facciamo difficoltà ad ascoltare in particolare «quando la voce di Dio cerca di riaprire i canali della speranza», perché «accogliere buone notizie non è facile, soprattutto quando la realtà è stata a lungo segnata da sofferenze, delusioni e incertezze. La tentazione di credere che nulla di nuovo possa accadere si insinua spesso nei nostri cuori». Eppure voci come quella di Isaia, «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» ci raggiunge proprio qui, «dove siamo tentati di credere che la realtà non ci possa più offrire nuovi spiragli di luce». La sfida è allora ridestare «lo stupore» di fronte a ciò che Dio desidera «compiere ancora nella nostra vita e nella storia del mondo».

Per prepararci ad ascoltare queste voci profetiche, padre Pasolini ha indicato l’esempio di due figure femminili, Elisabetta e la Vergine Maria, nelle quali si condensano i due atteggiamenti fondamentali per generare in noi un dinamismo di salvezza: Elisabetta ha saputo dire no all’apparente continuità delle cose e dei legami, mentre in Maria di Nazareth si scorge la necessità di «saper dire “sì” alla novità di Dio, formulando un assenso libero e gioioso alla sua volontà».

Elisabetta e il coraggio di dissentire

Nella sua meditazione, il predicatore della Casa Pontificia ha ripercorso quindi la vicenda di Elisabetta e del marito Zaccaria, come descritta dall’evangelista Luca, con l’anziano sacerdote «incredulo nell’accogliere con fiducia l’annuncio di un evento lungamente desiderato, ma forse non ritenuto più possibile»: la nascita di un figlio. Per la sua mancanza di fede, resterà muto fino alla circoncisione di Giovanni, il nome indicato dall’angelo per il nascituro. Quando i parenti chiedono che al bambino venga dato il nome del padre, Zaccaria, interviene la madre Elisabetta: «No, si chiamerà Giovanni». Zaccaria, ha sottolineato padre Pasolini, significa «Dio ricorda», mentre Giovanni vuol dire «Dio usa misericordia». Un nome, spiega, che «sposta l’attenzione sull’oggi», e «suggerisce che la storia, pur influenzata dai suoi retaggi, è sempre capace di superarsi e aprirsi a nuove possibilità, se c’è l’azione di Dio». Zaccaria scrive su una tavoletta il suo assenso al nome Giovanni, e recupera la voce.

La reazione di Elisabetta, per il predicatore, suggerisce che «a volte, è necessario interrompere il fluire delle cose per aprirsi alla novità di Dio». «Oggi più che mai, in un tempo straordinario della storia umana — ha spiegato —, abbiamo bisogno di recuperare questo tipo di sguardo spirituale sulla realtà», nella quale «accanto a gravi ingiustizie, guerre e violenze che affliggono ogni angolo del mondo, emergono nuove scoperte e promettenti percorsi di liberazione». Concentrati come siamo sul presente, infatti, «fatichiamo a investire sul futuro e tendiamo a immaginare il domani come la fotocopia dell’oggi». Il no di Elisabetta, invece, che rimette il destino del figlio Giovanni nelle mani di Dio, «ci ricorda che niente e nessuno è condizionato soltanto dalla propria storia e dalle proprie radici, ma è anche ricondizionato continuamente dalla grazia di Dio».

«Ci sono tanti no che aspettano di essere pronunciati — ha continuato il predicatore —, non solo quelli contro il male esplicito, ma anche quelli contro il sottile male che è l’abitudine di portare avanti le cose senza mai il coraggio di ripensarle seriamente e di farlo insieme». Ma per pronunciare questi «no coraggiosi» bisogna credere che «Dio è all’opera dentro la storia e che il meglio deve ancora venire».

Maria e l’umiltà di aderire

Infine, per parlare della risposta di Maria alla chiamata del Signore, padre Pasolini ha riletto il Vangelo dell’Annunciazione in quei tratti «che ci possono aiutare a recuperare un po’ di stupore nei confronti del mistero dell’Incarnazione». Ha quindi spiegato che in san Luca il compito dell’angelo Gabriele sembra essere quello «di fare ingresso nel cuore di Maria senza forzare in alcun modo le porte della sua disponibilità, perché il dialogo tra loro deve avvenire in completa libertà» e «in un clima di fiducia». Alla Vergine viene comandato di gioire, cioè di «rendersi conto di un qualcosa che già c’è: il Signore è con lei». E questa, ha rimarcato il predicatore, è «la grazia del tempo di Avvento», cioè quella di «accorgersi che sono di più i motivi per gioire che quelli per rattristarsi, non perché le cose siano semplici, ma perché il Signore è con noi e tutto può ancora accadere».

Alle parole dell’angelo, però «Maria entra in un forte turbamento». Per almeno due motivi, secondo padre Pasolini. Il primo è «che quando qualcuno ci manifesta il suo amore è sempre una sorpresa. L’amore non è un evento scontato», «abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti e accolti per quello che siamo». Il secondo motivo del timore di Maria è «perché il suo cuore intuisce che è arrivato il momento di lasciarsi ridefinire pienamente dalla parola di Dio». È come se, ha aggiunto il predicatore, «la parola di Dio dovesse scrivere su un foglio dove molte altre dichiarazioni si sono già accumulate e organizzate nel tempo, lasciando poco spazio a ulteriori affermazioni». Ma in Avvento, l’attesa e l’ascolto ci servono proprio «a permettere alla voce di Dio di entrare in noi per raccontare nuovamente quello che siamo e possiamo essere dinanzi al suo volto».

La chiamata a una vita nuova

Infine, la chiamata a una gravidanza impossibile secondo i criteri umani espone Maria al rischio di non essere capita da nessuno, anzi di venire giudicata da tutti come adultera secondo le prescrizioni della Legge di Mosè. Fuori metafora, per padre Pasolini, ciò significa che «ogni annuncio di Dio espone necessariamente alla morte, perché contiene la promessa di una vita piena, interamente donata a Dio e al mondo». E la paura «davanti a questo tipo di responsabilità» si supera solo «considerando la bellezza e la grandezza di quanto ci attende». Ma per aprirci a tutto questo, ha sottolineato il predicatore, «non possiamo limitarci a dire quei “sì” che non ci costano nulla e che non ci privano mai di nulla». Ogni «autentica decisione secondo il Vangelo», infatti, «costa tutta la vita e ci espone al rischio di perdere privilegi e certezze». Dire di sì a Dio, ha ricordato ancora padre Pasolini, ci espone al rischio di «morire negli equilibri che abbiamo raggiunto e in cui tentiamo di rimanere». Eppure, è proprio questa «la strada che ci fa ritrovare noi stessi».

All’angelo, la Vergine risponde con il suo «santo stupore», chiedendo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». «Non vuole capire nei dettagli il disegno di Dio», ha detto padre Pasolini; ma desidera «semplicemente diventarne partecipe in modo libero e consapevole». E l’angelo non le spiega in che modo potrà generare la carne del Figlio di Dio: le annuncia solo che lo Spirito Santo sarà il suo fedele custode. Con il suo: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola», poi, Maria «dichiara tutto il suo entusiasmo per la chiamata appena ricevuta». È come se dicesse all’angelo: «Quello che tu mi hai proposto di accettare, in realtà, adesso sono io a volerlo e a sceglierlo».

Non possono che concludersi in questo modo, per padre Pasolini, «tutte le annunciazioni che riceviamo nel viaggio della vita. Quando la luce di Dio riesce a mostrarci che dentro la paura per quello che ci attende è presente la fedeltà di una promessa eterna, nasce in noi la meraviglia e ci scopriamo capaci di pronunciare finalmente il nostro “eccomi”».