La partecipazione alla Messa settimanale crolla anche fino al 5 per cento. Ma reggono i riti di passaggio: battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio, funerali religiosi. Gli italiani sono sempre più «credenti non praticanti». La spiritualità si secolarizza. Quali sono le risposte delle Chiese? La casa editrice Effatà pubblica uno studio del sociologo e sacerdote Luigi Berzano
“La gente non viene più a Messa”. Da decenni, un po’ in tutta Italia (e non solo), questa è una frase ricorrente nei discorsi di parroci disorientati e parrocchiani sconsolati. Ma è poi proprio vero? Sì e no. Indubbiamente – sarebbe assurdo negarlo – la società secolarizzata ha mutato in modo radicale (e, a quanto pare, irreversibile) i rapporti con il sacro e con i riti religiosi. Basta un po’ di esperienza quotidiana: la domenica molte chiese sono mezze vuote e frequentate quasi esclusivamente da persone con i capelli bianchi. Le parrocchie fanno fatica e il millenario legame con la tradizione sembra smarrito. Non è proprio il caso, però, di piangersi addosso o vivere nella nostalgia del “buon tempo andato”. Una nuova condizione vuole anche dire nuove sfide. E nuove occasioni. Prezioso, a questo riguardo, è il saggio Senza più la domenica. Viaggio nella spiritualità secolarizzata, appena uscito per Effatà Editrice, scritto dal sacerdote e sociologo Luigi Berzano. Il volume propone una fotografia, accurata e molto ben documentata, della situazione attuale. Niente giudizi. Nessuna ricetta o soluzione preconfezionata.
Partiamo dall’evidenza. È fuori discussione che, in una cinquantina d’anni, ci siano stati cambiamenti epocali nei rapporti tra Chiesa e società. Definire l’Italia come “Paese cattolico” o parlare di “Europa cristiana” significa aprire la porta a interrogativi di enorme portata. Ma, riguardo a liturgie e partecipazione dei fedeli, che cosa è accaduto esattamente? E in quale direzione stiamo andando? «Guardando i dati statistici, osserviamo, di tempo in tempo, un progressivo calo di partecipazione alla Messa domenicale» risponde Berzano. E c’è un aspetto interessante. «Negli ultimi decenni si nota una fortissima decrescita nella partecipazione femminile, mentre in passato le donne erano lo ‘zoccolo duro’ delle celebrazioni domenicali». Confrontando due ricerche, si scopre, ad esempio, che nel 1972, in Italia, il 65,8% di donne dichiarava di frequentare la Chiesa assiduamente. Nel 2009 il dato era bruscamente sceso al 24%. Pesano sicuramente gli aspetti culturali, però anche i mutati scenari economici. «Almeno in certi luoghi, la domenica c’è un 50% di persone che lavorano». Se dunque, nei giorni festivi, le chiese si svuotano, va anche sottolineato un altro dato, in controtendenza. «Nel tempo resta forte, e in certi casi aumenta perfino, la partecipazione ai riti di passaggio, cioè a quelle celebrazioni che segnano il nascere, il crescere, lo sposarsi, il lasciare questo mondo». Quindi battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e funerali sono ancora un punto fermo. «Osserviamo un 70, 80% di persone che partecipano a un rito di passaggio almeno una decina di volte nell’anno e che chiedono di celebrare in chiesa i grandi momenti della vita».
RISPONDERE CON CREATIVITA’
Se questo è il dato di fatto, come comportarsi? Talvolta lo status quo viene vissuto dal mondo ecclesiale con una certa irritazione. La sensazione è un po’ quella di una Chiesa “formato bancomat”, dove “vado solo quando ho bisogno” o quando accade qualcosa che mi riguarda direttamente. «Di sicuro» riflette il sacerdote sociologo «questo scenario pone tante domande. È possibile pensare a una vita cristiana fondata solo sui riti di passaggio?». Inoltre «ci sono problemi di sostenibilità. Tante comunità fanno fatica, magari perché non c’è un parroco residente e perché non si riesce a curare le celebrazioni in modo adeguato». E se il problema tocca la dimensione spirituale, anche gli aspetti economici non vanno trascurati: sempre più spesso, sostenere i costi di chiese e locali parrocchiali diventa complicato. A quanto pare, stiamo andando in una direzione già descritta, tempo fa, nella Chiesa anglicana. È la cosiddetta “religione vicaria”, fondata su piccoli gruppi molto assidui e gruppi più consistenti che implicitamente approvano il messaggio e vi si riconoscono, ma che non partecipano in prima persona alla vita liturgica ed ecclesiale, se non in momenti particolari. La sfida però – e il Sinodo della Chiesa Italiana, attualmente in corso, si sta interrogando anche su questi aspetti – è «rispondere con creatività. Se le persone continuano a partecipare ai riti di passaggio, dobbiamo fare in modo che queste celebrazioni siano momenti pregnanti, significativi, capaci di lasciare un segno». E, più in generale, «oggi chi entra in Chiesa non lo fa semplicemente per obbedire a un precetto, ma si aspetta di vivere un’esperienza. Una bella esperienza. Emblematiche, in questo senso, le testimonianze dei giovani che vanno a Taizé, o agli incontri con il Papa, Giornata della Gioventù in primis, o che magari scelgono un cammino spirituale, come quello di Santiago».
TORNIAMO A INNAMORARCI DI “QUEL GIOVANE RABBI DELLA GALILEA”
Esperienze forti e pregnanti, dunque. Ma in questo modo, nell’epoca del “fai da te” e del mercato spirituale, non c’è il rischio di appiattire la fede alla dimensione emozionale e di confondere la liturgia con l’evento? «È vero, il rischio c’è» risponde Berzano. «E dobbiamo essere attenti. D’altra parte, però, dobbiamo anche evitare il rischio di una Chiesa esclusiva, settaria, dei “pochi ma buoni”. Abbiamo un 70, 80% di persone che si dicono cristiane. Che cosa facciamo per loro e con loro? Le lasciamo fuori dalla porta o cerchiamo, in qualche modo, di coinvolgerle e costruire un dialogo?». Tanto più in una società provata da anni di pandemia, disorientata e spaventata da una guerra alle porte dell’Europa, «abbiamo qualcosa da dire e da testimoniare solo se ci scopriamo innamorati di quel giovane rabbi della Galilea e del suo messaggio. Un messaggio pieno di bellezza, che non a caso, anche al di fuori delle comunità organizzate e perfino della fede, affascina tanti non credenti. Un messaggio che annuncia la pace in modo radicale e che rifiuta ogni violenza. È quell’amore agàpe di cui leggiamo nel Vangelo di Giovanni. È il mistero di quel sepolcro vuoto che proprio in questi giorni celebriamo. Ecco il cuore. Diversamente, tutto si riduce a emozione estemporanea. Il messaggio è talmente affascinante che ci rende credibili, pur nelle nostre inadeguatezze. E nel deserto di messaggi che stiamo attraversando, è la risorsa più preziosa che abbiamo».