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Sant’Agostino ci ammonisce: “Tempi cattivi, tempi travagliati, dicono tutti”. Ed è questa la sensazione che si respira oggi nell’umanità. Viviamo ancora gli strascichi della pandemia che tanto ha influito sulle relazioni interpersonali. Assistiamo ad una guerra tra nazioni e civiltà che rende diffidenti le relazioni tra i popoli. Ci stiamo accorgendo come anche la crisi economica, che non sappiamo fino a quando durerà e quali ricadute avrà sulla popolazione, sta minando il tessuto sociale con pericolose insorgenze di estremismi intolleranti e di possibili scontri e proteste popolari tra le classi sociali sulle quali più pesa questa crisi e che maggiormente risente di questa povertà sociale. Sembra che questa pentola a pressione, determinata da tutti questi elementi, prima o poi possa deflagrare, scompaginando un sistema sociale e uno stile di vita personale sul quale avevamo costruito le nostre certezze e la nostra tranquilla quotidianità.

Tale panoramica e visione mondiale tocca anche le “micro realtà” come la famiglia, le comunità, le Congregazioni. Ho la sensazione che la realtà mondiale è in crisi perché sono in crisi, e lo sono da parecchio tempo, quelle che ho definito “micro realtà”.

In una situazione così complessa, diventa difficile anche solo ipotizzare un percorso di uscita per la costruzione di una società più umana e vivibile, a tutti i livelli, da quello internazionale a quello comunitario e congregazionale. Cosa facciamo allora? Ci ritiriamo? Dichiariamo la nostra resa e la nostra sconfitta? Se così fosse, la domanda posta da Gesù: “ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” sarebbe drammaticamente realistica, sarebbe di una previsione sconvolgente da togliere ogni speranza. Se vogliamo personalizzare e rendere concreta per noi oggi la domanda di Gesù, potremmo rimodularla in questo modo: il Figlio dell’uomo, quando verrà, quale fede troverà sulla terra? Posta in questo modo, la domanda interpella ciascuno di noi.

A nostro vantaggio e sostegno abbiamo l’evento della Pasqua, appena celebrata. Il fallimento umano di Gesù e la sua morte in croce ci dice che su quella croce è stato crocifisso ed è morto l’uomo vecchio e dalla morte e risurrezione di Cristo ne è venuta a noi la creazione di un uomo nuovo. Ed è su questo fondamento che noi viviamo e consumiamo i giorni della nostra vita, consapevoli che Lui è fedele e che mantiene viva la nostra speranza e il nostro impegno per iniettare dentro un’umanità attraversata dal dolore, dalla morte e dalla distruzione, segni di speranza e di vita eterna.

Ci confortano le parole di san Pietro nella sua prima lettera, quando dice: “Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,14-15).

La coscienza del dono di Pasqua ricevuto ci deve portare ad agire, a trovare strade nuove e soluzioni nuove a problemi o situazioni pur drammatici che stiamo vivendo. Non basta parlarne o evidenziarli, c’è necessità di essere artigiani di creazioni nuove.

Mi ha molto colpito l’intervento di Papa Francesco quando ha ricevuto in udienza i Capitolari dell’Ordine degli Agostiniani Recolletti. Il loro Superiore generale si lamentava della diminuzione dei membri e della loro età avanzata, della riduzione geografica della loro presenza da otto a quattro province. Il Papa gli ha risposto: “Vuol dire che, in termini numerici, siamo in discesa. E questa è una realtà che non possiamo ignorare. Le spiegazioni sono mille … Ma c’è una domanda che dobbiamo farci: guardando al futuro, proiettando l’età che abbiamo adesso, dobbiamo chiederci: un domani può darsi che ci saranno solo due province su quattro, e poi? niente più? Non aver paura di farsi la domanda: il giorno in cui non ci sono più Agostiniani Recolletti, il giorno in cui non ci sono abbastanza vocazioni sacerdotali per tutti, il giorno in cui …, il giorno in cui…, quel giorno viene. E allora: abbiamo preparato i laici, abbiamo preparato le persone per continuare la nostra missione nella Chiesa? E voi, avete preparato le persone a continuare con la vostra spiritualità, che è un dono di Dio, affinché si possa portarla avanti? Non oso essere un profeta e dire cosa accadrà. Mi preoccupa, mi preoccupa. Confido nel Signore, ma devo anche dire queste cose: prepariamoci a ciò che sta per accadere e diamo il nostro carisma, il nostro dono a chi può portarlo avanti”.

La citazione iniziale di sant’Agostino così continua: “I tempi siamo noi: come siamo, così sono i tempi”. E’ vero che sono le persone a dare il tono, il timbro e il senso del tempo che si sta vivendo. Non diamo la colpa a Dio quando assistiamo alle tragedie che l’umanità vive, dicendo: Dio dove sei? Non diamo giustificazioni per tranquillizzare la nostra coscienza inoperosa. Non diamo la colpa agli altri.

Si racconta che un uomo, vedendo una bambina denutrita, scalza, tremante di freddo, grida a Dio, quasi con rabbia: oh Dio perché non fai qualcosa per quella bambina? E Dio gli rispose: certo che ho fatto qualcosa per quella bambina, ho fatto te.

 

* Don Vito Fracchiolla, vicario generale